Sono cent’anni dall’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Quale occasione migliore per celebrare… la resistenza? Il paradosso è stato notato da Marcello Veneziani, che fa parte del Comitato Scientifico che si occupa degli anniversari della storia d’Italia, istituito a Palazzo Chigi e ora presieduto da Franco Marini. Nell’organismo troviamo storici, studiosi ed esponenti istituzionali. La cui prima preoccupazione, tuttavia, sembra più essere quella di celebrare il settantennale della “Liberazione” che non i cento anni della Grande Guerra.
di Adriano Scianca dal Primato Nazionale del 9 marzo 2015
Lo scrittore ha quindi deciso di inviare una lettera aperta al Comitato, in definisce “inconcepibile” il fatto “che si prevedano e si finanzino centinaia di manifestazioni e pubblicazioni per il settantennale della Liberazione, lasciando in sordina il centenario della prima guerra mondiale, che mi pare invece l’evento centrale del quadriennio ’14/’18. C’è uno squilibrio, una sproporzione evidente, anche nel tono e nel taglio. Capirei se quest’anno fosse il centenario della Resistenza, e non ricordo del resto che si sia ricordato il novantennale o il settantennale della Prima guerra mondiale”.
Per una certa Italia, insomma, tutta la storia patria inizia e finisce con la guerra partigiana, letta peraltro con le lenti agiografiche che la più attuale storiografia dovrebbe aver reso desuete da un pezzo.
Continua Veneziani: “L’impossibilità di pensare alla nostra storia e alla nostra identità nazionale se non a partire (e a finire) dalla guerra civile di liberazione indica un forte limite culturale e civile del nostro orizzonte storico e istituzionale. Non possiamo ridurre la storia millenaria di una civiltà e la storia secolare di una Nazione e poi di uno Stato agli ultimi settant’anni. Senza dire che nessuno o quasi degli eventi indicati e promossi esplora in modo problematico le pagine controverse di storia e di popolo emerse nella storiografia e nella pubblicistica degli ultimi trent’anni (eccidi partigiani di civili e religiosi, processi sommari, triangolo rosso, foibe)”.
Di Prima guerra mondiale non si parla, invece, e quando lo si fa si adotta sistematicamente la versione disfattista e lacrimevole della “inutile strage”: “Ricostruendo la prima guerra mondiale – spiega ancora Veneziani – anche in film come quello di Ermanno Olmi, patrocinato dal comitato e dalle istituzioni, si abbraccia una lettura esclusivamente tragica e critica di quel conflitto, priva di ogni connotato celebrativo, epico ed eroico, che invece resta intatto nella ricostruzione storica della Resistenza. Francamente provo disagio a condividere questa impostazione che celebra la Resistenza e a malapena commemora la Prima Guerra Mondiale e della prima nasconde ogni lato in ombra e della seconda occulta ogni lato luminoso. Ferisce la memoria storica, la verità degli eventi e l’amor patrio”.