L’editore più antifascista d’Italia pubblica 768 pagine con gli scritti e i discorsi di Mussolini. Ovviamente, come si tiene a precisare nel saggio introduttivo, l’obiettivo è non ricadere negli errori del passato. Ma la verità è che Benito in libreria fa fare sempre affari d’oro
di Adriano Scianca da La Verità del 24 settembre 2022
Benito Mussolini ha fatto anche cose buone. Per esempio ha creato tanti posti di lavoro. Se non prima del 1945, sicuramente dopo. È ancora l’agitatore di Predappio, in fin dei conti, a tenere in piedi un bel pezzo dell’industria culturale di questo Paese, che per il resto non se la passa troppo bene. Fare un giro in una libreria in questi giorni, complice il centenario della marcia su Roma alle porte, dà più o meno le stesse sensazioni che doveva provare il visitatore della Mostra della rivoluzione fascista allestita al Palazzo delle esposizioni di Roma nel 1932: fasci, camicie nere, gladi, fez, capoccioni di Benito spuntano ovunque. Per denunciare il Regime, certo, non per celebrarlo.
Ma, mai come in questo caso, il significante sembra mangiarsi il significato. E quindi, al di là dei piagnistei moralizzanti e para storiografici, a restare impressa è solo la perenne attualità di quel «passato che non passa», la figura di «Lui» che domina ancora, dall’alto, la politica di una nazione intera
Il cortocircuito raggiunge vette folgoranti quando Feltrinelli, con la sua storia militante, con la sua Fondazione di alto profilo antifascista, con il suo catalogo impegnato, con le sue shopper antirazziste, si mette a pubblicare i discorsi del Duce. È infatti appena uscito Scritti e discorsi. 1904-1945: 768 pagine con il meglio (o forse il peggio, nelle intenzioni dell’editore) di Benito Mussolini. Curatore è David Bidussa, storico, già direttore della biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e poi direttore editoriale della stessa. Insomma, si tratta di un vero prodotto «della casa».
L’operazione non è per’altro inedita. Qualche mese fa anche Marsilio si era buttata sull’antologia mussoliniana, con La costruzione dello Stato nuovo. Scritti e discorsi di Benito Mussolini 1921-1932, a cura di Fabio Frosini. E lo stesso Bidussa aveva già curato per Chiarelettere un volume di testi duceschi, dal titolo, non esattamente arcadico, di Me ne frego. Quindi, contrordine compagni, leggere Mussolini ora non solo si può, ma addirittura si deve? Pare di sì, ma solo con l’adeguata «contestualizzazione» e con la riserva mentale che lo si fa solo per «comprendere il passato affinché non lo si debba ripetere», e via di banalità simili. Che nascondo una più prosaica verità: il Duce vende. Questa è del resto da sempre una delle regole non scritte del cinico mondo giornalistico: cosa fa vendere più copie? Le tre S, sangue, soldi e sesso, a cui però va aggiunta la M, la stessa che campeggia nelle copertine dei prolissi e furbastri polpettoni di Antonio Scurati.
Mussolini funziona. Non solo per via dei nostalgici o dei simpatizzanti, certo, magari anche per quelli che vogliono davvero capire per non ripetere. Ma, in entrambi i casi, è difficile non vedervi una fascinazione per lo meno in conscia. Lo stesso Bidussa accenna a qualcosa di simile, quando nel saggio introduttivo scrive: «Questa antologia si muove attorno all’idea che i fascismi abbiano portato innovazioni destinate a rimanere nelle esperienze politiche successive. E la loro eredità riguarda non solo chi si propone intenzionalmente come “guardiano” dell’esperienza fascista, ma anche coloro che si sono opposti, hanno combattuto per segnalarne la fine o hanno cercato di modificare l’impianto culturale e politico venuto da quell’esperienza».
Anche se lo storico non accetterebbe l’accostamento, sembra proprio una conferma aulica della recente boutade di Ignazio La Russa: «Siamo tutti eredi del Duce». Tutti, pure i suoi nemici di ieri e di oggi. Certo, introduzioni, prefazioni e note stanno li a vigilare affinché la lettura non svii il lettore dall’alto compito morale per cui tali pubblicazioni sono state pensate. Eppure c’è sempre il rischio che anche lì filtri qualcosa che non dovrebbe. Come quando Bidussa ci fa sapere che «il regime fascista ha avviato in Italia la costruzione dello stato sociale e in particolare del sistema previdenziale, in conformità con un tempo in cui lo stato sociale apparteneva all’agenda di gran parte dei Paesi europei guidati da governi democratici, autoritari o totalitari […]. Perché se il ritornello dei nostri “nonni” (e per alcuni “bisnonni”) che stavano meglio, se il refrain che “si stava meglio quando si stava peggio” ha una presa nel senso comune, una delle cose da chiarire è che quella trasformazione non nasce come specificità del regime fascista, ma come azione politica, come decisione che coinvolge qualsiasi sistema politico di massa della prima metà del Novecento». Insomma, Mussolini ha fatto anche cose buone, solo che le ha fatte insieme agli altri governanti della sua epoca. Orsù, compagni: ancora uno sforzo.