USA, 1935. Contro il logorio della mafia moderna, guerra al carciofo!

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Negli anni ’30, il sindaco di New York, Fiorello LaGuardia, affrontò la mafia siciliana-americana vietando la vendita, l’esposizione e il possesso di carciofi, un prodotto amato dagli italoamericani.

Una storia singolare raccontata su Atlas Obscura del 17 gennaio 2020 da Mark Hay.

Il 21 dicembre 1935, LaGuardia annunciò il divieto al Bronx Terminal Market, definendo i carciofi una minaccia per la città a causa del controllo mafioso sul loro mercato, che generava profitti attraverso violenza e intimidazione. La mafia, in particolare la famiglia Morello-Terranova, dominava il commercio dei carciofi da due decenni, estorcendo milioni da coltivatori, distributori e consumatori. Introdotti in America dagli immigrati italiani intorno al 1900, i carciofi erano coltivati principalmente in California, soprattutto nella contea di Monterey, e spediti a città come New York.

La mafia, spiega Hay, impose tasse di importazione e, dagli anni ’20, intimidì i coltivatori californiani per limitare i raccolti e vendere a prezzi bassi, controllando la distribuzione attraverso la Union Pacific Produce Company e applicando ricarichi del 30-40%. Nel 1935, si stima che la mafia guadagnasse 333.000 dollari all’anno (6,25 milioni di dollari odierni) solo sui carciofi. Ciro Terranova, noto come il “Re dei Carciofi”, guidava questo racket, che si inseriva in una tradizione mafiosa di controllo su prodotti alimentari come limoni, latticini e carne. Tuttavia, durante il proibizionismo (1920-1933), la mafia si concentrò su attività più lucrative, trascurando i carciofi. Dopo che Terranova perse influenza nel 1931, il suo successore, Joseph Castaldo, affrontò accuse antitrust.

LaGuardia, noto per gesti plateali, sfruttò l’indebolimento del racket per imporre il divieto, che durò tre giorni, contribuendo a smantellare il monopolio mafioso. Nel 1936, Castaldo chiuse la Union Pacific Produce Company e si dichiarò colpevole di accuse minori. Il divieto aumentò l’interesse per i carciofi, favorendo tutti tranne i criminali. La mafia, però, non abbandonò i racket alimentari.

Negli anni ’90, la famiglia Lucchese gestiva traffici sui prodotti all’ingrosso, e in Italia, nel 2017, i racket agricoli generavano circa 25 miliardi di dollari, spesso attraverso frodi come la vendita di olio d’oliva falso. Anche i cartelli messicani si sono inseriti in questo settore, estorcendo coltivatori di avocado. Oggi, i racket alimentari sono meno dirompenti per i consumatori, e l’attenzione politica si concentra su crimini più gravi come il traffico di droga. Tuttavia, il racket dei carciofi, conclude Hay, rimane un esempio di come la mafia sfrutti beni comuni, un problema ancora attuale che meriterebbe maggiore attenzione.

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