Su che cosa avvenne davvero durante il sequestro di Giacomo Matteotti il 10 giugno 1924 si esercita da quasi un secolo un depistaggio sistematico da parte della storiografia, o per scarsa conoscenza dei documenti ufficiali o per spirito di parte. Enrico Tiozzo, storico e firma di “Storia In Rete”, in questo saggio-inchiesta (“Dove andava Matteotti?”, Aracne, pp. 364, € 32,00) riesamina molti aspetti di quel delitto, provati dai documenti ma regolarmente ignorati dagli storici, figurano il ruolo fondamentale svolto dall’austriaco Otto Thierschädl, che mise in guardia Matteotti fino a poche ore prima dell’aggressione, e quello della moglie del deputato che tacque per 24 ore sulla sparizione del marito. L’operazione di omissione e di insabbiamento si rafforzò nel corso dell’istruttoria svolta da due magistrati fortemente antifascisti, il cui intento principale era quello di arrivare all’arresto di Mussolini non solo come mandante ma addirittura come regista dei vari passaggi del delitto. L’occasione si presentava favorevole ai socialisti anche per sbarazzarsi della monarchia e possibilmente per ridimensionare il numero e il prestigio dei Carabinieri Reali. Filippo Turati, che conosceva bene i fatti, nei giorni successivi al sequestro gridò al miracolo nelle sue lettere alla Kuliscioff, scrivendo che il sacrificio di Matteotti segnava la fine del fascismo. Dal Secondo dopoguerra in avanti e per oltre settant’anni la morte di Matteotti è stata una delle armi più potenti della sinistra, e non solo in Italia, per sintetizzare tutta la crudeltà e la ferocia del fascismo e di Mussolini. Questa ricerca, basata sui documenti ufficiali, esamina il secolare depistaggio di un omicidio tanto tragico quanto non intenzionale e certamente non diretto né voluto da Mussolini, che peraltro se ne assunse l’intera responsabilità.
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