Tra le migliaia di layers che i Beni Archeologici del Paese, nella loro quasi infinita sovrapposizione, permettono di selezionare non manca certo quello dei siti nei quali si sono svolte battaglie epocali nell’antichità. Dalla battaglia del lago Curzio tra Romani e Sabini, al tempo di Romolo, nell’VIII secolo a. C., a quella di Piacenza nell’agosto del 476, nella quale l’esercito di Odoacre sconfisse l’esercito del magister militum Oreste. Un numero quasi infinito di scontri che nella maggior parte dei casi, mancando riferimenti puntuali nelle fonti letterarie, sono localizzati in maniera generica. Più raramente, invece, il sito individuato, é stato indagato. Scavi archeologici del passato, anche recente, hanno permesso di riconoscere la topografia antica di quei luoghi, di trovare la conferma alle notizie degli autori antichi. E’ il caso della battaglia di Canne, la più grande della seconda guerra punica, combattuta da Romani e Cartaginesi. Uno scontro, svoltosi nell’agosto del 216 a. C., in Puglia, nel territorio della città di Barletta, nei pressi del fiume Ofanto, tra 86.000 Romani e circa 50.000 Cartaginesi, iberi, galli, africani e numidi. La battaglia vinta da Annibale rimane una delle più famose della storia ed anche uno degli scontri campali più sanguinosi. Nel corso del quale i Romani persero non meno di 55.000 uomini, oltre al console Lucio Emilio Paolo. Episodio questo tanto celebre da divenire soggetto di un quadro, del 1773, di John Trumbull alla Yale University Art Gallery.
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di Manlio Lilli da blog, Le Città Invisibili, del 25 maggio 2012
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Circondata da possenti mura, utilizzate per diversi secoli, Canne offre resti notevoli di epoca romana, paleocristiana e medievale sulla cosiddetta “cittadella” e infine l’antico villaggio daunio con sepolcreto in località Fontanella. Il problema é che l’incuria sembra avere la meglio su quanto é in vista. L’area archeologica manca di una qualsiasi manutenzione, oltre che del necessario servizio di vigilanza. A pochi metri dalla stazione ferroviaria scavi avviati nel 2008, hanno parzialmente portato in luce i resti delle terme di San Mercurio. Sfortunatamente l’esaurimento dei fondi, ha interrotto le indagini e precluso la realizzazione di un percorso nel Parco archeologico che avrebbe dovuto condurre dalla tomba di Lucio Emilio alle testimonianze romane di San Mercurio. Testimonianze che, ancora recintate con una rete metallica, continuano a rimanere precluse alla visita. Anche l’Antiquarium, nel quale é esposto il consistente nucleo di materiale archeologico che documenta la lunga continuità di vita di Canne dalla Preistoria al Medioevo, avrebbe necessità di interventi. Che potrebbero finalmente giungere. Del novembre del passato anno é l’approvazione, da parte del Consiglio regionale della legge regionale per la valorizzazione e la divulgazione del sito. I contributi erogabili, 7 milioni di euro, hanno per oggetto il centro visite, gli itinerari didattico informativi, le visite guidate, la valorizzazione dell’area archeologica attraverso nuove indagini e nuovi restauri di strutture, reperti e beni culturali, oltre ad ogni altra iniziativa inerente le finalità della proposta di legge. Uno degli articoli riguarda la perimetrazione dell’area interessata dalla legge e la sua possibile variazione.
Quel che é certo che ancora rimane svilito uno dei siti più celebri dell’antichità. Quasi derubricato ad uno “scavetto” d’interesse per pochi. Un sito che adeguatamente valorizzato, inserito in un percorso di respiro regionale, potrebbe e dovrebbe costituire un polo di sicura attrazione turistica. Creando nel contempo anche quell’indotto frequentemente auspicato ma quasi mai realizzato. Un Parco archeologico che dovrebbe avere l’ambizione di mostrare le strutture che lo compongono in condizioni di conservazione ottimali potendo contare su una manutenzione non occasionale. Di fornire all’utente una leggibilità immediata in virtù di una pannellistica adeguata e servizi efficienti. Cose che ancora mancano. Tutte.
Da Canne della Battaglia ad Alesia. Dall’Italia alla Francia. Dal luogo di uno scontro all’altro. Quello nel quale, nel 52 a. C., non lontano da Digione, ad Alise-Sainte-Reine, Cesare sconfisse Vercingitorige. Anche in questo caso le indicazioni delle fonti letterarie antiche sono preziose, anche se non determinanti. E’ lo stesso Cesare nel libro settimo del De bello gallico a descrivere la posizione della città e le vicende dell’assedio e della battaglia. Mentre Plinio il Vecchio non menziona con precisione il luogo della battaglia. Per questo nel corso dei secoli si avanzarono diverse ipotesi, poi risolte in epoca medievale. Ma i numeri noti rendono meglio di altro la “grandezza” di quello scontro. L’assedio si protrasse per due mesi di assedio, 150mila romani impiegati e doppie linee di difesa muraria circolare , di cui una sul monte Auxois, per un totale di 36 chilometri di estensione. Qui dopo le indagini di Napoleone III, tra il 1861 e il 1865, quelle di Michel Reddé tra il 1991 e il 1995 hanno rilevato l’esistenza del sito gallo-romano in cima al pianoro. Ma anche reperti organici come le ossa di cavalli romani, gallici e germanici. E poi monete, punte di frecce, fibule, elmi e mazze. Testimonianze certe del celebre scontro. Quel sito, “archeologicamente” non straordinario è divenuto quel che Canne non è stata messa nelle condizioni di essere. Beneficiando della moda francese, di favorire la costruzione di musei storici locali finanziati dai Dipartimenti, si è deciso di investire in un doppio, impegnativo, progetto. Francois Sauvadet, ministro della Funzione pubblica e presidente della Provincia della Cote d’Or, ha giocato il ruolo di promotore di un’iniziativa locale costata 25 milioni. Che si articola in un centro di interpretazione storica, inaugurato il 26 marzo, e un museo archeologico, previsto per il 2016. Bernard Tschumi e Véronique Descharières, insieme ai responsabili del progetto museografico, sono riusciti ad andare oltre le contingenze contestuali.
Per l’architetto di origine svizzere, che già si era confrontato con l’archeologia nel Museo dell’Acropoli, ad Atene, Alesia è divenuta un centro d’interpretazione. Pensata con la forma del Colosseo, ricreando quasi fisicamente la geometria di quella battaglia contrassegnata militarmente dalle due linee di difesa circolare. L’edificio, rivestito all’esterno da un’intelaiatura in legno di larice, evocazione delle costruzioni dei campi romani, e ricoperto di un tetto vegetalizzato, s’inserisce con armonia nel paesaggio proponendo un percorso museografico lungo più di 300 metri, per 1200 metri quadri di spazi espositivi, a cui si accede tramite una rampa elicoidale. La prima parte della mostra permanente ricostruisce in maniera didattica il contesto della battaglia e le tappe dell’assedio. Mentre un’altra parte, è centrata su Napoleone III e la sua passione politica per Cesare, sulla scoperta del sito e sui cent’anni di dibattiti storiografici sulla localizzazione della battaglia e l’interpretazione del suo significato. Il Muséoparc, come è denominato il contesto, ha una duplice mira. Costruire il mito identitario a cui Alesia ha servito da vettore, ma anche decostruirlo. Su questo duplice registro narrativo è costruito il doppio progetto di Tschumi. Disteso su un territorio vasto, quasi 7mila ettari, ma “archeologicamente” modesto.
Nell’esaltazione di Alesia e nella mortificazione di Canne della battaglia c’è il senso del rispetto verso il proprio patrimonio culturale. L’Italia è battuta dalla Francia sul proprio campo, di battaglia. Quello dell’archeologia.
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Inserito su www.storiainrete.com il 30 maggio 2012