di Spartaco Pupo da Il Secolo d’Italia dell’8 dicembre 2024
Il secondo momento del “triennio gentiliano” volge al termine. Dopo il 2023, l’anno del centenario della storica Riforma della scuola, sta per terminare anche quello degli ottant’anni dall’assassinio del filosofo ad opera di partigiani e mandanti comunisti, mentre ci prepariamo al centocinquantenario della sua nascita, che si celebrerà nel 2025, speriamo con l’attenzione che merita e che finora non si è registrata, a parte qualche lodevole iniziativa del governo, come la mostra romana in suo onore e il francobollo commemorativo.
L’“egemonia”, risalente a Togliatti, più che a Gramsci, laddove non è riuscita ad impedire la divulgazione del pensiero di Giovanni Gentile, ne ha fatto un trampolino di lancio per intellettuali di sinistra e le loro mire carrieristiche, tutte lautamente soddisfatte. Mentre l’oblio sulla sua figura e sulla spendibilità del suo enorme patrimonio di idee e realizzazioni purtroppo resta e si perpetua secondo i medesimi strascichi di matrice togliattiana.
Pochi sanno di cosa fu capace l’odio ideologico di Togliatti. Pur di cassare Gentile, egli arrivò a sconfessare persino Lenin, il capo di tutti i comunisti del mondo, il simbolo del riscatto del proletariato, la cui “bandiera” – scriveva lui stesso su Rinascita nel 1960 – “viene portata avanti, da milioni e milioni di uomini, su posizioni sempre più avanzate”. Ebbene, finanche quella bandiera venne ammainata quando si trattò di seppellire Gentile, non solo nel corpo, ma anche nella memoria.
Capitò, infatti, che la traduzione italiana del Granat, il Dizionario enciclopedico sovietico (1972), contenesse una citazione di Lenin dello scritto gentiliano di critica a Marx, sul quale il fondatore dell’Urss richiamava l’attenzione dei comunisti. Gentile – scrisse Lenin – aveva detto cose che “neppure i positivisti ed i kantiani avevano mai osservato”. Lenin non solo aveva letto, ma aveva anche talmente apprezzato il “volumetto” di Gentile sulla filosofia di Marx (1897-1899) da lodarlo nell’articolo del Dizionario emblematicamente intitolato Karl Marx. Egli invitava a riflettere su ciò che aveva scritto “un hegeliano non marxista” come Gentile, che a suo dire meritava “attenzione” perché metteva in relazione alcuni aspetti della dialettica materialistica di Marx che erano sfuggiti ai positivisti più acuti. Non è detto che non sia stata proprio la lettura di Gentile a indurre Lenin a correggere il marxismo originario con la sua “prassi” e l’aggiunta del “leninismo”.
Ebbene, dinanzi a un riconoscimento così profondo, l’atteggiamento di Togliatti fu dei più freddi e spietati: egli cancellò interamente la frase elogiativa di Lenin dalla traduzione italiana del Dizionario, che però rimase nell’originale russo. Il motivo? Il riconoscimento del merito intellettuale di Gentile, tra l’altro definito da Lenin “filosofo hegeliano italiano”, non era funzionale al Pci e alla sua linea politico-ideologica. È questo uno di tanti terribili episodi di volenza culturale volutamente dimenticati e che la dicono lunga sull’esercizio di un potere censorio incontrastato che ha spesso avuto l’ultima parola su quello che si poteva tradurre, introdurre, leggere e pensare nell’Italia “libera”. Ma quante operazioni editoriali simili a questa si sono perpetuate, pressoché indisturbatamente, fino ad oggi? L’elenco sarebbe lungo e comprensivo anche dei tentativi, quasi tutti riusciti, di piegare le traduzioni dei testi stranieri ai desiderata dei sacerdoti dell’egemonia.
Che cosa è cambiato da allora? Ben poco, a parte il proliferare di piccoli e attivissimi editori non conformi e comunque estranei ai circuiti della cultura ufficiale, e a parte, naturalmente, la sostanziale novità intervenuta sul piano politico-istituzionale, che negare vuol dire essere politicamente miopi. Il clima sembra essere in parte mutato, ma non se ne scorgono gli effetti pratici. È molto difficile, del resto, trovare oggi un testo di Gentile adottato in qualche corso universitario. Nonostante la sua opera sia da decenni ampiamente disponibile, l’immagine che di lui ancora circola nell’accademica e nella cultura ufficiale è sempre bidimensionale, depurata da ogni riferimento politico: filosofo e pedagogista. L’analisi critica del suo pensiero politico in relazione alla sua più che possibile “riabilitazione” non si è mai realizzata per via della mancata scissione dal contesto istituzionale in cui si è affermato.
Eppure la perdurante attualità delle sue idee è elemento irriducibile del suo sistema di pensiero, di cui pochissimi altri autori del ‘900 possono vantarsi. La sua eredità sarà allora tanto più universale quanto più si prenderà atto della sua viva presenza. Simile presa d’atto risulterà meno gravosa se si terrà bene a mente che fu lo stesso Gentile ad affermare di avere scritto per i secoli a venire di “quell’Italia futura per cui ho lavorato tutta la vita”.