Attraverso la NATO, gli Stati Uniti si sono garantiti la lealtà dell’Europa, il più importante blocco economico-politico al mondo. Che ora li seguirà nella sfida alla Cina. È quanto scrivono in un’opinione ospitata sul New York Times Grey Anderson e Thomas Meaney, coautori di un saggio sull’Alleanza Atlantica
di Marco Orioles da StartMag del 16 Luglio 2023
La Nato è stata un esperimento di successo, ma per gli americani. È quanto scrivono in un’opinione ospitata sul New York Times Grey Anderson e Thomas Meaney, coautori di un saggio sull’Alleanza Atlantica, secondo i quali gli Usa, sin dal dopoguerra, con un investimento relativamente contenuto sulla sicurezza nel Vecchio Continente, si sono garantiti la lealtà del più importante blocco economico-politico al mondo, che ora si accinge a seguirli nella sfida con la Cina.
Altro che morte cerebrale
Lo storico Grey Anderson e il suo collega Thomas Meaney, ricercatore alla Max Planck Society di Göttingen, rispettivamente curatore e autore dell’opera Natopolitanism: The Atlantic Alliance Since the Cold War esordiscono ricordando il clima cupo di appena quattro anni fa, quando il Presidente degli Stati Uniti si chiamava Donald Trump e la diagnosi sullo stato di salute della Nato fatta da un leader come Macron parlava di “morte cerebrale” dell’organizzazione.
Oggi, il summit di Vilnius si apre con la decisione storica di accogliere la Svezia come 32simo membro, mentre la Finlandia era già entrata a far parte del club lo scorso aprile. La guerra in Ucraina ha svolto il ruolo di catalizzatore dell’unità dei Paesi dell’Alleanza atlantica. Con una battuta attribuita a Joe Biden, Anderson e Meaney sottolineano come, se la Russia perseguiva il disegno di dividere l’Europa, si ritrovata con un continente ‘natizzato’.
La vera missione della Nato
Questa svolta nella percezione della Nato ne ha rivalutato il ruolo come fautrice della difesa dell’Europa. Eppure, rimarcano gli Autori, sin dalle sue origini la Nato non era un’entità che aveva a che fare con la potenza militare. Essa piuttosto rappresentava la leva per legare l’Europa occidentale al più ampio progetto di forgiare un ordine mondiale in cui gli americani assicuravano protezione in cambio di concessioni in altri campi come il commercio o la politica monetaria.
Se questa era la genuina missione della Nato, si è rivelata decisamente vincente. Lo si è potuto vedere anche dopo la caduta dell’Unione Sovietica quando la Nato, inglobando progressivamente i Paesi dell’Europa orientale, ne ha garantito l’inclusione non solo nel sistema internazionale ma anche nei mercati globali, assicurandosi che la promozione della sicurezza collettiva marciasse di pari passo con l’ideologia del libero mercato.
Questo schema ha visto gli Usa ritagliarsi il ruolo di principale fornitore per l’Europa di armi, logistica, basi e strategie. Gli Europei dal canto loro ne hanno approfittato mantenendo la loro spesa militare a livelli così bassi da far dubitare che il Vecchio Continente sia in grado di garantire la propria sicurezza.
Il paradosso di un’Europa più sicura ma più debole
L’emergere di una forza europea almeno semiautonoma e capace di una azione indipendente è stata inibita dall’esistenza stessa della Nato e dei suoi standard comuni negli armamenti che, unitamente alle dimensioni e alle capacità dell’industria americana della difesa, ha favorito il rafforzamento del complesso militare-industriale Usa a scapito dell’emergere di una autentica concorrenza europea. Paradossalmente, rimarcano gli Autori, l’Alleanza ha indebolito anziché rafforzare gli alleati.
Eppure il paradosso è solo superficiale, in quanto la Nato, scrivono Anderson e Meaney, “sta funzionando esattamente come avevano immaginato i suoi pianificatori americani del dopoguerra, trascinando l’Europa in una dipendenza dalla potenza americana che ne riduce lo spazio di manovra”.
L’investimento Usa nella sicurezza europea
Questa dipendenza peraltro non ha mai implicato per gli americani investimenti eccessivi: secondo una recente stima i contributi Usa alla Nato rappresentano meno del 6% del budget annuale del Pentagono. Con molto meno di 100 miliardi di dollari, dunque, Washington si assicura che l’Europa resti saldamente nel suo campo e quindi nella sua sfera di influenza.
Con il deflagrare della guerra in Ucraina, questa dinamica non ha fatto altro che accentuarsi. Spaventati a morte dall’aggressione russa, gli europei hanno fatto scattare la corsa al riarmo con contratti multimiliardari alle aziende della difesa Usa. I soli tedeschi hanno stanziato ben 100 miliardi di euro, destinati ad acquisti importante come una intera flotta di F-35.
La Nato nell’Indo Pacifico?
Secondo gli Autori, in conclusione, è molto improbabile un declino della Nato negli anni avvenire. Al contrario si intravedono già i nitidi segnali di un possibile allineamento degli alleati europei degli Usa nell’emergente confronto con la Cina.
Al di là infatti di qualche isolato malumore sfociato per esempio nella famosa intervista di Macron a Politico, in cui il Presidente francese ha sottolineato come la questione di Taiwan non sia affare dell’Europa, pare proprio che la Nato si accinga a seguire la guida dell’America in un teatro lontano come è quello dell’Indo Pacifico.
Una riprova freschissima di come Anderson e Meaney abbiano colto nel segno l’abbiamo avuta sotto i nostri occhi poche ore fa, quando il Ministro degli Esteri italiano Tajani, salutando su Twitter la notizia del prossimo ingresso della Svezia nell’Alleanza, ha cinguettato: “Ora più attenzione a Medio Oriente, Asia e Indo Pacifico”.