E’ stato coperto di fiori il monumento Libertà di Riga, la capitale lettone, per commemorare i deportati in Siberia nel 1949. Nel 60° anniversario dell’inizio delle deportazioni di massa attuate dall’Unione Sovietica di Stalin contro le popolazioni baltiche, i tre Stati di Lettonia, Estonia e Lituania hanno lanciato una campagna di commemorazioni. La repressione, iniziata il 25 marzo 1949, rimane un argomento delicato nei rapporti con la Russia, che non ha mai riconosciuto l’azione sovietica come un crimine. Il ministero degli Esteri russo non ha commentato né l’anniversario né le iniziative baltiche. Più di 20 mila sono gli estoni che furono esiliati in Siberia in operazioni contro le famiglie dei contadini ricchi e di chiunque fosse associato a movimenti di resistenza. Tre quarti di costoro erano donne e bambini.
Più di 42 mila persone sono state espulse dalla Lettonia, e 29 mila dalla Lituania: in totale di 118 mila furono i deportati in diverse ondate di persecuzioni tra il 1945 e il 1952. Solo alla fine degli anni Cinquanta, dopo la morte di Stalin, ai deportati superstiti è stato consentito di tornare a casa, anche se i loro beni sono rimasti confiscati e quasi tutti hanno continuato a subire persecuzioni di Stato. “Quello che è accaduto 60 anni fa, è memoria condivisa in Lettonia, perché non c’è una sola famiglia che non abbia un qualche legame con la deportazione”, ha detto Sandra Kalniete, 56 anni, ex ministro degli Esteri, e nato in Siberia da genitori che si erano conosciuti in esilio. “Solo dopo la caduta del muro di Berlino e della cortina di ferro è stato possibile finalmente rivelare tutti questi i crimini”.