La mostra sui Tudor al Musée du Luxembourg di Parigi, importata dalla National Portrait Gallery di Londra, risponde in pieno alle attese: molti prestiti dalle collezioni reali inglesi, molto Holbein, stemmi, medaglie, miniature, cammei, trattati pro o contro il Papa, Bibbie tradotte in inglese poi di nuovo in latino e poi ancora in inglese, una Maria la sanguinaria devastata dalle gravidanze isteriche e tremenda in nero Inquisizione mentre la sorellastra Elisabetta I è sempre coloratissima, tante decapitazioni, la corazza king size (appunto) di Enrico VIII e perfino un curiosissimo anello di Elisabetta che cela all’interno un doppio ritratto, suo e di mamma Anna Bolena, da nascondere perché traditrice e quindi decollata da papà. Tutto come previsto, molto già noto, parecchio anche déjà vu.
Alberto Mattioli da la Stampa del 7 aprile 2015
Costumi magnifici
Ma dove la mostra diventa divertentissima, anche se in materia si poteva fare di più, è nel rintracciare la fortuna «spettacolare», diciamo così, dei Tudor. Poche dinastie, e tutto sommato così poco «lunghe» (dal 1485 al 1603, tre re e due regine), hanno ispirato tanti artisti, letterati, drammaturghi, compositori, cineasti. Qui c’è l’occasione di capire perché. Intanto, sarà frivolo ma è vero, qualsiasi incursione in area Tudor permette di sbizzarrirsi assai con i costumi. Altro che grigi inglesi, «less is more», infilarsi il primo straccetto trovato nell’armadio. Il fondatore, Enrico VII, è ancora abbastanza sobrio; ma da suo figlio Enrico VIII in poi è un’esplosione di velluti, sete, pellicce, piume, pizzi e gioielli favolosi.
Con Elisabetta siamo al delirio vestamentario, un’orgia di colori, un diluvio di accessori e chi più ne ha più ne metta. Macché delitto, l’ornamento è diletto. I maschietti non sono da meno. Il grande favorito, Robert Dudley, conte di Leicester, si presenta in giustacuore lilla con ricami dorati, cappello di velluto nero ingioiellato e piumato, elsa della spada cesellata. L’ultimo, Robert Devereux, conte di Essex, indossa invece il costume di cavaliere della Giarrettiera, più o meno uguale a quello in uso oggi, dunque metri di squillante raso rosso. Per i costumisti, è un invito a nozze.
Nel catalogo, Maria Hayward accusa quello di Elizabeth di Shekhar Kapur di mancanza di rigore storico. Però l’abito indossato da Cate Blanchett nella scena dell’incoronazione, e qui esposto, è la copia abbastanza fedele di quello portato dalla vera Elizabeth come da ritratto detto appunto «dell’incoronazione». Una «cappa e un vestito di drappo d’oro», tessuto con fili di metallo, per cui al sarto Walter Fish furono pagati 13 scellini e 4 pennies.
Vicende spettacolari
Poi, ovviamente, c’è il fascino di vicende che sembrano già una sceneggiatura, piene delle indispensabili tre «esse»: sesso, sangue e soldi. Le sei mogli di Enrico VIII o gli amori della «Regina vergine» Elisabetta sono pronti per la scena, in un Parigi romantica che impazzisce per Shakespeare e il suo tempo.
Dal 1791 al 1912 sui Tudor sono censiti non meno di 35 spettacoli, fra tragedie, opere, melodrammi. Si parte in epoca rivoluzionaria con un Henri VIII di Marie-Joseph Chénier (fratello di Andrea) per denunciare le turpitudini della regalità e si finisce con una Reine Élisabeth con Sarah Bernhardt che diventa anche un film, ovviamente muto, di cui è proposto qualche fotogramma.
Si vede la divina che conciona dopo aver fatto decapitare Essex, in piedi davanti a un mare di cuscinoni: uno si sta chiedendo perché quando, zac!, la Bernhardt travolta dal duolo si butta cadendoci sopra, impeccabilmente, di faccia. In mezzo, ahimè, c’è anche un clamoroso fiasco di Victor Hugo all’Odéon nel 1828, con Amy Robsart (si tratta della moglie di Leicester, morta in circostanze più che sospette), e dire che i costumi erano griffati nientemeno che Delacroix. E intanto i quadroni storici di successo di Delaroche o di Devéria venivano riprodotti pari pari su scena come tableaux vivants. ?Noi italiani, modestamente, non siamo da meno.
Gaetano Donizetti viene giustamente definito «il primo autore di un serial sui Tudor». In effetti, ossessionato dai «Tudori», come li chiamava lui, dedicò loro ben quattro titoli del suo sterminato catalogo: Elisabetta al castello di Kenilworth, Anna Bolena, Maria Stuarda e Roberto Devereux. E nel 1855 arrivò a Parigi perfino la Maria Stuarda di Schiller tradotta in italiano e recitata dalla grande Adelaide Ristori.
Manca, colpevolmente, solo la tivù. I Tudors – Scandali a corte si trovano solo in dvd, al bookshop. Ed è un peccato non perché, come dice un’autorevole collega, Jonathan Rhys-Meyers che fa Enrico VIII «è un gran figo», ma perché la serie sulla dinastia è fantastica. Molto meglio di Dynasty.