“Mussolini non trova paragoni nella storia, mai esistito un condottiero che abbia saputo dare al suo popolo una così viva impronta della sua personalità”. Parola di Luigi Pirandello. Uno, sempre uno, mica centomila. L’adesione convinta al fascismo del celebre drammaturgo siciliano arriva direttamente dalla prima pagina del quotidiano del ventennio L’Impero. A pubblicare il contenuto di una lunga intervista all’autore del Fu Mattia Pascal è stato il professore Piero Mieli sulle pagine dell’edizione cartacea de La Sicilia. L’intervento prestigioso di Pirandello venne pubblicato su L’Impero il 12 marzo 1927 con tanto di foglio autografo dell’autore teatrale stampato nel bel mezzo della prima pagina.
di Davide Turrini 19 settembre 2017
“Quanti sono morti che si credono ancora vivi! E quanti vivi sono oggi sopraffatti dal pensiero dei morti! Come volentieri, amici miei, mi metterei a fare il becchino per sbarazzare l’Italia da tutti i cadaveri che l’appestano! L’Impero giornale di giovani vivi, mi dovrebbe dare una mano”, scrive Pirandello con la sua elegante calligrafia firmandosi in calce. “Un fanatico militante che non esita a tirar fuori l’innata grinta squadrista contro le morte ideologie democratiche e liberali fino a desiderare di farsi addirittura becchino dei tanti normalizzatori che infestano la nazione”, commenta il professore Mieli su La Sicilia.
L’intervista vera e propria è pubblicata a pagina tre de L’Impero a firma Umberto Gentili ed è intitolata “A colloquio con Pirandello”. Il commediografo siciliano venne intervistato dietro le quinte del Teatro Argentina a Roma durante le prove di “Diana e la Tuda”. E pur essendo Pirandello concentrato sui preparativi dell’opera, l’intervista diventa un dettagliato e chiaro encomio al fascismo e al Duce. “Io sono un uomo in piedi che morirà in piedi. Quanti si credono ancora vivi e non lo sono, e bisognerebbe spazzarli, bisognerebbe sgombrare”, esordisce Pirandello. “Le camarille, le piccole congiure personali, non arrivano a spianare nessuna strada, ingombrano, inceppano, è necessario liberarsene, assolutamente, fascisticamente”.
Poi ancora rispunta il tragico concetto di ‘epurazione’: “Se si vuol fare qualche cosa, bisogna incominciare ad epurare ed è un mezzo, questo, di cui si sente la necessità in tutti i campi dell’attività umana”. Ma è quando l’intervistatore domanda cosa ha fatto il fascismo per l’arte che Pirandello risponde da fan accanito di Mussolini: “Moltissimo: c’è ora un fervore di opere che non ha precedenti. Del resto tutto in Italia si è rinnovato; cinque anni di vita fascista hanno ringiovanito e trasformato ogni energia. Mussolini non trova paragoni nella storia; non è mai esistito un condottiero che abbia saputo dare al suo popolo una così viva impronta della sua personalità”. Non che la vicinanza tra Pirandello e il fascismo sia stata mai un mistero, soprattutto nei terribili anni tra il ’24 e il ’25 quando aderì al Manifesto degli Intellettuali fascisti con ancora vivi gli echi del delitto Matteotti e la svolta totalitaria del Duce, ma secondo diversi storici, tra cui il biografo Gaspare Giudice, la simpatia del drammaturgo si sarebbe affievolita già dal 1926. L’Impero fu un quotidiano del Ventennio fondato da Mario Carli ed Emilio Settimelli, entrambi futuristi, vicini a Gabriele D’Annunzio e all’impresa fiumana. Tra il 1913 e il 1921 Settimelli assieme a Tommaso Marinetti ideò il concetto di ‘teatro futurista’.