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La badessa di Castro: la storia, lo scandalo e il mito

di Aurelio Musi dal Corriere della Sera – La nostra storia dell’11 agosto 2024

È utile tornare a leggere, dopo anni dalla sua pubblicazione, un libro importante che ha dischiuso vie alla ricerca e al dibattito storiografico. Se ne colgono aspetti, profili, particolari a prima vista sfuggiti per la sua ricchezza e complessità. E’ questo il caso de La badessa di Castro. Storia di uno scandalo, di Lisa Roscioni, pubblicato da Il Mulino nel 2017. La rilettura si rende necessaria anche perché in questi ultimi anni non sono pochi i saggi dedicati a un tema simile, tanto che può ben dirsi si sia dato vita a un vero e proprio genere storiografico alla moda. Ma l’opera della Roscioni resta non solo pionieristica, una sorta di battistrada, ma si eleva largamente per qualità al di sopra di studi consimili.

La struttura dell’opera si presenta come un mosaico di fonti, una serie di scritture di genere e valore differenti che formano la trama narrativa. E il libro si mantiene in equilibrio entro un fragile crinale tra storia e letteratura.

Non è sempre agevole seguire e intrecciare i diversi profili che arricchiscono il saggio: la narrazione della storia della badessa di Castro e della sua relazione col vescovo Cittadini; i contesti, gli ambienti entro i quali quella storia si iscrive; le tante storie che interferiscono con quella principale; Chiesa, poteri, giurisdizioni concorrenti e in conflitto; il ruolo dei patriziati nei monasteri; le monacazioni forzate; le pratiche processuali; sentimenti e passioni che nascono e si alimentano nella claustrofobia; il mercato antiquario; l’Ottocento, il romanzo storico, il riferimento continuo a “La badessa di Castro” di Stendhal.

La storia innanzitutto. La dimensione claustrofobica è lo sfondo entro cui nasce e si sviluppa la relazione scandalosa fra Porzia Orsini, entrata in convento nel 1557 e votata alla clausura col nome di Elena l’anno successivo, e il vescovo Francesco Cittadini. Dal rapporto sessuale nasce un bimbo. Scrive Roscioni che le carte non potranno mai restituire sentimenti e passioni: «una fuga dalla realtà, una ribellione, un sentimento impedito dalle circostanze, e perciò stesso più forte, oppure un capriccio, un cedimento dovuti forse alla noia di un’esistenza già predeterminata» (p.42). Noia, solitudine, malinconia, sentimenti resi ancor più brucianti dall’isolamento di Castro e dalla dimensione claustrofobica, riemergono con forza a conclusione del saggio e coinvolgono vittima e carnefice, per così dire: la monaca e il vescovo.

Il secondo profilo è il processo. La badessa confessa dopo fasi alterne, caratterizzate da false dichiarazioni. Dopo un lungo silenzio, parla, mossa dall’angoscia: «Io sonno stata per dui cagione retrosa a dire la verità: la prima perché non voleva essere causa della morte del vescovo di Castro, la seconda mi andavo pensando che morendo il vescovo la mia creatura non andasse a male». Non c’è traccia di una sentenza alla fine del processo. L’autrice ipotizza tre finali, il terzo più verosimile: il carcere per i due; la morte da parto della badessa; il vescovo che non viene punito per pressioni familiari e per l’intercessione del cardinale Carlo Borromeo, Porzia Orsini che, dispensata dai voti, sposa il fratello del vescovo Cittadini.

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Ci sono poi le tante storie e “historiettes” che fioriscono intorno alla vicenda. Ed è proprio la mancanza di una sentenza e di una punizione esemplare che alimenta le cronache successive, le reinvenzioni, le copie che si rincorrono da anonimi autori ad altri, meticolosamente studiate dall’autrice. «Tra Seicento e Ottocento un denso intreccio di allusioni, rielaborazioni e interpolazioni finì per trasfigurare completamente la storia. Da tipico, forse anche banale scandalo di convento apparentemente simile a molti altri, la vicenda si trasformò in una “storia tragica”. Essa fece da canovaccio a “La badessa di Castro”, l’unico romanzo storico di Stendhal, in cui confluirono la moda scottiana del “manoscritto ritrovato”, l’incidenza del mercato antiquario che rispondeva al gusto dei lettori e al collezionismo dei documenti antichi, la formazione dell’idea di Rinascimento e di “italianità”, ben presenti nella “Certosa di Parma”».

Un libro complesso dunque, ma, almeno a mio parere, dalla trama assai sfuggente: un percorso non lineare fra congetture, fonti controverse, in cui non sempre sono riconoscibili le differenze tra ragioni della storia, ragioni della mentalità e del gusto, ragioni del mercato antiquario.

Restano di questa opera soprattutto la finezza e la sensibilità della Roscioni a leggere, nelle pieghe di documenti di dubbia attendibilità, sentimenti, emozioni, passioni, a decrittare tracce di vissuto, di quella “acedia” che forse fu il contesto in cui maturò l’intreccio peccaminoso fra Porzia-Elena Orsini e il vescovo Cittadini.

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