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Sade, la Marchesa e la Canonichessa: un triangolo pericoloso

La letteratura, il teatro ed il cinema hanno diffuso ed accreditato la figura di de Sade come paradigma della libertà di espressione contrapposta alla censura del Potere, rappresentando spesso il marchese nell’ultima parte della sua vita, internato e privato della possibilità di scrittura: vedi i due film del 2000 – comunque interessanti, grazie soprattutto alle rispettive interpretazioni di Daniel Auteuil e Geoffrey Rush -, “Sade” e “Quills”. Un punto fermo sul controverso soggetto è stato posto nel 2008 da un numero speciale del prestigioso “Magazine Littéraire”, intitolato “Sade, les fortunes du vice”: tra la raccolta di articoli firmati da Borges, Barthes, Robbe-Grillet e Sollers, spicca in particolare un inedito di Eric Marty, ordinario a Parigi di letteratura francese, che analizza il de Sade visto da Foucault, dalla “bruciante adesione” contenuta nella celebre “Histoire de la folie”, sino al ripensamento totale dei saggi del 1975 e 1976, in cui il filosofo dei bio-poteri rivede, ed anzi, condanna il mito del “divin marchese” come vittima del Potere ed eroe della trasgressione.
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di Cristina Bardella da “Rinascita” del 10 maggio 2012
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Le visioni riguardo al de Sade uomo e scrittore sono le più svariate, per esempio la recentissima opera sulla vita del marchese attraverso i castelli (quelli di famiglia, gli altri in cui si nascose alla giustizia, quelli a cui si ispirò per i suoi scritti, le fortezze dove fu rinchiuso). Ma se una delle chiavi privilegiate per l’indagine sadiana è certo la psicanalisi, c’è da dire che anche le persone più strettamente correlate offrono materia di studio: in primis la moglie Renée-Pélagie (foto), sulla quale appunto lo storico della psicanalisi Gérard Badou ha incentrato un saggio del 2004, riedito da Payot nel 2009. Renée-Pélagie Cordier de Launay de Montreuil era nata nel 1741 da una famiglia di nobiltà recente, ma di grandi mezzi; il personaggio forte della casa era l’autoritaria madre, alla ricerca di alleanze matrimoniali di lustro. Attraverso le mediazioni di un abate, secondo l’uso del tempo, madame de Montreuil individuò nella antica stirpe provenzale dei de Sade – di cui ricordiamo Laure de Sade, la Laura del Petrarca, ed un’altra Laure, colta e sofisticata ispiratrice di Proust – un soddisfacente partito per la figlia; ed altrettanto soddisfacente risultò il negoziato per la controparte, poiché la dote della ragazza ammontava a trecentomila “livres” (una “livre” era la paga giornaliera di un operaio specializzato).

Gli sposi si conobbero in occasione della firma del contratto nuziale, due giorni prima del matrimonio, avvenuto il 17 maggio 1763; la soave Renée-Pélagie piacque al marito – non poteva essere altrimenti – per la sua severa educazione religiosa ricevuta nell’atmosfera rigorosa e rarefatta di un convento, e al contempo Donatien affascinò subito la giovane moglie. Cinque mesi dopo le nozze il marchese fu arrestato e rinchiuso nella fortezza di Vincennes; i motivi dell’arresto non sono tuttora chiari (probabilmente il sequestro di una ragazza, prefigurando analoghe vicende successive), ma sono agli atti le reiterate richieste di de Sade affinché la moglie rimanesse all’oscuro delle accuse a carico. Dopo la prima incarcerazione la condotta di lui non conobbe limiti né scrupoli di discrezione; e tuttavia Renée-Pélagie, pur avendo infine preso piena coscienza della realtà, dopo cinque anni di matrimonio scriveva: “Io non vivo, non respiro che per te. La mia felicità è solo in te”.

La allieva modello delle suore divenne la complice più fidata del marito, venendo a patti con mezzane, lenoni e malviventi di ogni sorta; si travestì da uomo per favorire la fuga di Donatien da una delle innumerevoli prigioni, ma nel 1790, dopo avere subito prove inaudite, un risveglio di fede religiosa la spinse a chiedere la separazione. Renée-Pélagie, con i tre figli avuti dal matrimonio, subì le traversie degli aristocratici durante la Rivoluzione; malata da anni, si spense in un remoto castello nel 1810. Badou pare nondimeno sottovalutare un evento centrale nella vita della coppia. Nel 1769 de Sade conobbe e s’innamorò perdutamente della diciassettenne sorella della moglie, canonichessa secolare – ossia, per un particolare privilegio statutario, non obbligata ai voti – del convento delle Benedettine di Alix, presso Lione; a quanto sembra si trattò dell’unico e sincero amore del marchese, appassionatamente ricambiato, come attestano le lettere che i due si scrissero, il cui pezzo forte è costituito dal solenne giuramento di fedeltà che la canonichessa Anne-Prospère firmò con il sangue, e così concludente: “Io consento al marchese de Sade di fare ogni uso di questo giuramento contro la mia persona qualora osassi mancare a qualsivoglia clausola per mia volontà o mia incoscienza”.

Le lettere sono contenute in un’opera del 2003 di Pierre Leroy, con prefazione di Philippe Sollers, e in un saggio di Maurice Lever del 2005, ora riedito per la nuova collezione “La lettre et la plume”; peraltro, due delle quattro lettere definite inedite da Leroy erano già state pubblicate da Lever in un libro del 1991. Questa ultima edizione si intitola “Je jure au marquis de Sade, mon amant, de n’être jamais qu’à lui…” (la prima frase della lettera-giuramento di cui sopra, datata 15 dicembre 1769) e riporta veri documenti inediti, rinvenuti da Lever, specialista del Settecento, in archivi di famiglia dei discendenti di de Sade in linea femminile. Lever contestualizza storicamente la corrispondenza della canonichessa e del marchese, e di questi e di sua moglie, in un arco di tempo cruciale nella vita di de Sade. La tentazione di rappresentare la vicenda come una suggestione di stampo letterario sarebbe grande (in fin dei conti è una sceneggiatura già predisposta), considerato che Anne-Prospère si configura come un’incarnazione dell’eroina sadiana più famosa, Justine, se non fosse che i tre personaggi interagiscono in un quadro saldamente ancorato alla contingenza più concreta.
Nel giugno 1772 de Sade diede forma a suoi fantasmi con sperimentazioni in corpore vili, ovvero su cinque ragazze di Marsiglia provenienti dai livelli più bassi della prostituzione – e dunque dagli strati sociali più disagiati -, alle quali distribuì una quantità di dolci alla cantaride, potente ma pericoloso afrodisiaco, che infatti sortì effetti devastanti. Il marchese fu subito perseguito per avvelenamento; con estremo tempismo e fredda lucidità moglie e cognata accorsero con una somma ingente per indurre le ragazze (di cui tre versavano in pericolo di vita) a ritrattare, muovendo al tempo stesso ogni passo per far accreditare il fatto come una sfortunata ma banale “partita di piacere”.

Quattro anni prima de Sade era uscito indenne da un processo per sequestro di persona e sevizie (ai danni di una mendicante di Parigi), mediante l’influenza della suocera; il processo, ed il proscioglimento, avevano però fatto scalpore presso l’opinione pubblica e settori del governo e dell’alta magistratura. I tentativi delle due sorelle di orientare il Tribunale di Provenza per il nuovo procedimento fu vano: il Cancelliere di Francia Maupeou aveva richiesto alla corte preposta il massimo rigore senza riguardo di classe o ceto, e quindi il marchese fu condannato alla decapitazione.
Ma lui era già fuggito in Italia, grazie alla canonichessa che lo aveva costantemente ragguagliato (“Tenetevi pronto a partire, ieri sera una delle ragazze era agli estremi”) e che, per inciso, dalle lettere non appare scossa per la sorte delle malcapitate, riservando le lacrime (“il mio unico nutrimento”) all’amante. Lei lo raggiunse a Venezia, fatta passare come legittima moglie; finché, offesa da una relazione intrecciata da de Sade con un’italiana – presentata invece come cognata -, Anne-Prospère fece ritorno in Francia. La lettera di addio è un capolavoro di orgoglio: non l’infedeltà, scrive, bensì la volontà di restituirsi alle Benedettine l’ha risolta alla decisione. Per la cronaca, non avrebbe mai preso i voti definitivi. Il seguito della storia è ulteriormente movimentato. De Sade venne arrestato in territorio savoiardo per ordine del re di Sardegna e dietro istanza, stavolta, della suocera (“per proteggerlo da se stesso”), che sperava di accasare in qualche modo la figlia minore; questa oppose un rifiuto a rinnovate profferte dell’ex-amante – ancora evaso e tornato in patria in clandestinità -, che tentò il suicidio, o almeno le scrisse che lo avrebbe commesso. La canonichessa morì a ventinove anni, e la sorella non diede notizia della scomparsa. A quel tempo l’animo della marchesa era dominato dal desiderio di entrare in convento, dalla gelosia ossessiva ed infondata del marito di nuovo rinchiuso, o meglio internato, a Vincennes, nonché dal denaro insufficiente per commissionare a Van Loo i ritratti dei figli, imperiosamente richiesti dal suo tiranno imprigionato.
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