Documenti desecretati svelano i retroscena della fuga del gerarca nazista, che durante la guerra volò in Gran Bretagna perché i servizi segreti britannici lo avevano ingannato
di Paolo Valentino, dal Corriere della Sera del 12 maggio 2021
La più celebre fuga della Seconda guerra mondiale fu il frutto di un lavoro di disinformazione dei servizi segreti britannici. E quella che abbiamo sempre creduto essere stata l’iniziativa personale di un nazista tormentato, in realtà fu una trappola ben riuscita, che si tradusse in un importante successo tattico per la Gran Bretagna ed ebbe anche conseguenze pratiche sull’andamento del conflitto. La sera del 10 maggio 1941 un cacciabombardiere Bf 110, con il serbatoio di riserva anch’esso pieno di carburante, prese il volo dalla pista di collaudo della fabbrica di aerei Messerschmitt Ag di Haunstetten, in Baviera, in direzione nord-ovest. Alla guida del velivolo della Luftwaffe era Rudolf Hess, numero due del regime nazista e delfino designato di Hitler.
Intorno alle 23 ora locale, mentre si trovava sul cielo della Scozia, Hess azionò il seggiolino eiettabile e venne proiettato nel vuoto. Fu il primo e ultimo lancio col paracadute della sua vita. Mezz’ora dopo, la Home Guard britannica lo arrestò, prendendolo in consegna da una coppia di contadini scozzesi che lo aveva scoperto e catturato nel proprio cortile.
A Berlino, ci vollero ventiquattr’ore prima di capire cos’era successo e il doppio per confezionare una verità ufficiale. Finalmente, il 12 maggio, la radio del regime lesse un comunicato del quartier generale di Hitler, secondo il quale Hess era volato verso l’Inghilterra e probabilmente era caduto, vittima di un incidente. Il testo parlava di «crollo mentale», il vice del Führer sarebbe stato vittima di un delirio di grandezza. Il giorno dopo però, ci aveva pensato la Bbc a mettere le cose in chiaro: Hess non era precipitato, era vivo e vegeto e si trovava in custodia delle autorità britanniche. L’annuncio stuzzicò la graffiante ironia dei berlinesi, alimentando barzellette e battute, clandestine naturalmente, perché si rischiava la galera: «Secondo Radio Londra, questa notte non si segnalano altri voli di ministri tedeschi».
Hitler aveva ricevuto la notizia la mattina dell’11 maggio nel Nido dell’Aquila, la sua residenza sul Berghof, nelle Alpi bavaresi: due aiutanti di Hess, gli ufficiali Karlheinz Pintsch e Alfred Leitgen, gli avevano consegnato personalmente una busta sigillata con una lettera autografa del loro capo. Quando la lesse, il Führer ebbe un attacco di rabbia. Ordinò che i due malcapitati fossero arrestati e spediti nel campo di concentramento di Sachsenhausen, dove sarebbero rimasti fino al 1944. Poi, insieme a Martin Bormann, Hitler aveva trascorso ore e ore a «formulare una motivazione plausibile del volo di Hess in Inghilterra», come ha raccontato nelle sue memorie Christa Schröder, la sua segretaria.
Ma che cos’era successo? E cosa diceva Hess al suo Führer nella lettera? Rudolf Hess non era solo un gerarca nazista. Era il più devoto dei compagni d’arme della prima ora, un autentico fanatico del culto di Hitler, che a lui aveva dettato il Mein Kampf nella prigione di Landsberg, dopo il fallito putsch di Monaco del novembre 1923. Salito al potere, Hitler gli aveva affidato la gestione del partito.
Ma l’inizio della guerra lo aveva estraniato dal capo. Sempre più Hess si era convinto (giustamente) che l’idea di Hitler di aprire un secondo fronte contro l’Unione Sovietica sarebbe stata un errore fatale con il primo ancora aperto. Il Terzo Reich non avrebbe avuto risorse sufficienti a reggere l’urto contemporaneo di due guerre. Così, si era sempre più fissato con l’idea che potesse essere lui a negoziare una pace separata con Londra e regalarla al Führer. E quando nella primavera 1941 si era reso conto che l’inizio dell’operazione Barbarossa, l’attacco all’Urss, era prossimo, aveva rotto gli indugi. Hess pensava di avere individuato anche l’uomo giusto, con il quale trattare un accordo di pace: non Churchill, naturalmente, ma il duca scozzese Douglas Douglas-Hamilton, uno dei leader del movimento pacifista britannico e oppositore del premier. Lo aveva conosciuto nel 1936 durante i Giochi Olimpici di Berlino.
Agli agenti della Home Guard che lo avevano arrestato, Hess dichiarò un falso nome e chiese infatti di vedere Douglas-Hamilton, dicendo di essere suo amico. Ma quando l’11 maggio il duca si appalesò e il gerarca si presentò col suo vero nome, quello non ricordò l’incontro. Anzi, appena appresa la sua vera identità, Douglas-Hamilton, da vero patriota, informò subito il gabinetto del primo ministro. Si racconta che Churchill quella sera aveva deciso di vedersi un film nel bunker sotto Downing Street dove viveva. E quando gli dissero che Hess, il vice di Hitler, era stato catturato in Scozia, rispose: «Hess o non Hess, io ora voglio vedere i fratelli Marx».
La domanda che da sempre aleggia è se Hess sia volato di sua autonoma iniziativa o su mandato segreto di Hitler. Nulla di tutto questo, secondo lo storico Rainer F. Schmidt, che ha potuto consultare il fascicolo Hess, finalmente liberato dal segreto negli Archivi di Stato britannici. In realtà, come rivela «Die Welt», Rudolf Hess cadde in una trappola tesagli dai servizi britannici. Già dal 1940 infatti, spacciandosi proprio per Douglas-Hamilton, che non ne sapeva nulla, gli agenti britannici avevano stabilito una corrispondenza epistolare con il numero due del nazismo, con l’obiettivo di diffondere disinformazione al vertice del regime per seminare discordia e sospetti. Che Hess abbia preso sul serio le lettere, al punto da rispondere e perfino decidere di recarsi personalmente in Scozia, l’intelligence di sua maestà non lo aveva però mai immaginato o sperato. La sua fuga fu un colpo di fortuna del tutto inatteso.
La cattura di Hess produsse almeno tre vantaggi per la Gran Bretagna. In primo luogo, migliorò il morale della popolazione. Ancora più importante, rafforzò negli Stati Uniti la preoccupazione che Londra potesse essere tentata di concludere una pace separata con Hitler, facilitando la decisione del Congresso di aumentare gli aiuti militari e alimentari del «Lend-Lease» al Regno Unito. Infine, Churchill alimentò il timore di Stalin che Gran Bretagna e Germania potessero unirsi contro l’Unione Sovietica.
Rudolf Hess sarebbe rimasto per tutta la guerra in mani inglesi. Processato a Norimberga con gli altri gerarchi nazisti, proprio la fuga gli evitò la condanna a morte. Fu condannato all’ergastolo e scontò la pena nel carcere speciale di Spandau a Berlino, dove a partire dal 1981 fu l’unico detenuto della struttura. Hess rimase sempre un convinto nazista e antisemita e questo fu l’argomento opposto ai molti che nel tempo ne chiesero il rilascio per ragioni di salute. Ormai molto malato, il 17 agosto 1987, all’età di 93 anni, Hess fu trovato impiccato nella prigione berlinese, ufficialmente suicida. La famiglia e il suo avvocato non hanno mai creduto a questa versione. Poche settimane prima Mikhail Gorbaciov aveva tolto il veto sovietico alla sua scarcerazione. Probabilmente, sarebbe stato liberato di lì a poco.