di Tommaso de Brabant da Destra.it del 11 Maggio 2022
Sto leggendo, in enorme e colpevole ritardo, “Storia militare della Seconda Guerra Mondiale” di B.H. Liddell Hart, amico e biografo di Lawrence d’Arabia, inviso a Winston Churchill. Il ponderoso tomo è il frutto di un lavoro pluriennale, e fu pubblicato subito dopo la morte del suo autore (inglese ma nato a Parigi nel 1895, e morto a Londra nel 1970).
Mezzo secolo abbondante dopo, vi si trovano, soprattutto nel capitolo introduttivo (“Gli eventi che fecero precipitare la guerra”), alcune affermazioni che guarda un po’, in queste stesse settimane sono state vietate dalla stampa italiana:
Ai fini del processo di Norimberga poteva bastare l’ipotesi che tanto lo scoppio della guerra quanto le successive implicazioni fossero attribuibili esclusivamente all’aggressività hitleriana: ma questa è una spiegazione troppo semplice e superficiale”, eppure secondo l’Huffington Post le semplificazioni vanno preferite alle analisi approfondite.
L’ultima cosa che Hitler voleva era un’altra grande guerra. Il suo popolo, e specialmente i suoi generali, erano atterriti dall’idea di correre un simile rischio: le esperienze della Prima Guerra Mondiale avevano lasciato nell’animo dei tedeschi profonde cicatrici. Mettere in luce questi fatti basilari non significa passare un colpo di spugna sull’aggressività di Hitler, né su quella di molti tedeschi che furono ben lieti di lasciarsi guidare da lui: ma è evidente che per lungo tempo Hitler perseguì i suoi obiettivi con estrema cautela”, eppure quando il prof. Alessandro Orsini ha detto che Hitler non aveva intenzione di scatenare un conflitto di portata mondiale lo si è accusato di affermare un falso storico, e di fare apologia del nazismo.
Come poté quindi accadere che Hitler si trovasse coinvolto in quella guerra di proporzioni mondiali che pure era stato così ansioso di evitare? La risposta va cercata non tanto – o almeno, non esclusivamente – nell’aggressività di Hitler, quanto piuttosto nel fatto che, dopo aver a lungo incoraggiato con il loro atteggiamento compiacente la politica tedesca, nella primavera del 1939 le potenze occidentali decisero improvvisamente d’adottare una politica di rigida intransigenza: un cambiamento di politica tanto brusco e imprevedibile da rendere inevitabile la guerra”, eppure i talk-show televisivi pretendono che si creda all’improvviso scoppio di follia d’un dittatore (sia esso Hitler nel secolo scorso, o Putin oggi), e non che si studi un concatenarsi di questioni internazionali (che pure ci sono, ma la verità ufficiale ha convenienza a negarne la realtà).
Presentando un libro con Marco Valle, abbiamo parlato di corsi e ricordi della storia contemporanea e della storia bellica: le analogie fra prodromi e sviluppo della Seconda Guerra Mondiale e della guerra in corso fra Russia e Ucraina sono rimarchevolissime – per fare l’esempio più evidente: le provocazioni con cui, dal 1937 al ’41, F.D. Roosevelt costrinse il Giappone a ingaggiare il combattimento sono assai simili alle provocazioni con cui Biden e la Nato hanno fatto degenerare una conflittualità cominciata almeno otto anni fa, sino a portare la Russia a invadere un paese confinante. La storia si ripete, le guerre si susseguono fra loro, e la crisi russo-ucraina è il calco della Seconda Guerra Mondiale: le dinamiche innescate dagli USA sono le stesse.
La storia è complessa, la politica pure, la guerra anche di più: Liddell Hart spiega come nessuno degli aspetti del più grande conflitto mai accaduto fosse semplice, né spiegabile con i riduzionismi tuttora in voga: allo stesso modo non si può pretendere che la guerra russo-ucraina sia semplice. La narrazione della Seconda Guerra Mondiale non è riducibile a un’aggressione di Hitler, Mussolini e Tojo alle potenze occidentali – a meno di non parlarne approssimativamente, superficialmente, stupidamente e/o disonestamente. Lo stesso vale per l’invasione russa dell’Ucraina: ridurre il tema (e già la capitale importanza della questione rende evidente l’inammissibilità del riduzionismo) a un duello tra un aggressore (a sua volta banalizzato: non una nazione che, a sua volta, è un mondo a sé, ma un “dittatore pazzo” rinchiuso a delirare nella stanza dei bottoni) e un aggredito (che per otto anni ha rivestito ben altro ruolo; e che, con buona pace dei detrattori della tirannide putiniana, è una dittatura anche più totalitarista di quella al suo confine) significa approssimazione, superficialità, stupidità e/o disonestà.
Si vorrebbe sperare che gli studi di uno storico militare che ha partecipato (da soldato prima, da consulente poi) a entrambi i conflitti mondiali del Novecento siano considerati, per quel che riguarda la visione globale della guerra, più di giornalisti diventati tali grazie a una parola del suocero, ex direttori di giornale diventati tali pur essendosi iscritti a due corsi di laurea senza poi conseguirne nessuna delle due, conduttori televisivi che descrivono fabbriche come se fossero scenari da videogioco, e altri devoti professionisti della disinformazione.
Non è così: come dicono i cowboy, puoi portare un cavallo all’acqua ma non puoi obbligarlo a bere. Per carità, la scelta è libera: c’è chi legge Liddell Hart, e chi si abbevera al caffè di Gramellini. Chi però fa il saccente pur dando retta a chi riduce il mondo a banalità e ragionamenti a spanne (ribadisco quanto detto in un precedente articolo: frasi come “se Putin non è un fascista, certo gli somiglia” non sono degne di essere scritte in un tema delle scuole medie, che un giornale a tiratura nazionale le riporti quotidianamente in prima pagina è un insulto a chiunque studi, pensi, faccia ricerche) si stampi in testa (lo spazio non manca): VERITAS FILIA TEMPORIS.
Basil Henry Liddell Hart, “Storia militare della Seconda Guerra Mondiale. Gli eserciti, i fronti e le battaglie”
Oscar Storia Mondadori, traduzione di Vittorio Ghinelli, Milano 2021
Pagine XII + 994, euro 22