Analizzando la voce revisionismo sulle pagine telematiche di Wikipedia in quattro lingue e culture diverse si dischiudono prospettive dissimili sul dibattito culturale contemporaneo in merito a questa metodologia storica. Parallelamente al costituirsi di una storiografia nazionale consolidata si assiste a riflessioni e dibattiti tra storici che hanno inteso rivedere cause e concatenazioni di fatti dati per assodati. Scopo delle righe che seguono è quello di comprendere anche attraverso la rete come il termine revisionismo abbia modificato il suo significato nei diversi paesi dalla fine dell’ultima guerra ad oggi. Esso si connota infatti negativamente con particolare riferimento alle due guerre mondiali.
Veronica Arpaia, per www.storiainrete.com
Prima di procedere appare necessario notare come alcuni termini subiscano nel tempo evoluzioni spesso molto distanti dalla loro etimologia. In ambito religioso, ad esempio un’ortodossia ufficiale ha fatto decadere il senso della parola greca airesis che indicava in modo avalutativo l’appartenenza ad una scuola filosofica (spirituale), al significato di eresia come negazione parziale di una dottrina. Parole che, col trascorrere degli anni, si caricano di una connotazione negativa slegata dal loro valore originario. Sembra che la storia del termine revisionismo abbia subìto sorti simili, essendo facilmente associabile a tendenze estranee alla sua metodologia, come quelle negazioniste.
Così è accaduto in ambito tedesco dove i due vocaboli revisionismo e negazionismo vengono usati come sinonimi. Si legge nell’incipit della pagina: “Muovendo da fatti storicamente accettati, il revisionista li re-interpreta con finalità estranee alla ricerca storica manipolandoli a fini politici”: una simile circostanza è avvenuta nel tentativo di negare le responsabilità del governo tedesco, durante le due guerre mondiali, fino a sostenere come legittima l’annessione dei territori conquistati. Appare invece ammissibile anche se in modo assai contraddittorio il caso di uno studio che, nato come ricerca minoritaria riesca a sostituire nel tempo un’interpretazione consolidata.
Mentre, come vedremo, in particolare nelle pagine anglosassoni, il revisionismo si oppone frontalmente ad ogni approccio ideologico, in quelle tedesche è esso stesso ideologia. Interessante notare il “rimpiattino” franco–tedesco nell’evidenziare non nella sua peculiare prospettiva storica ma come caratteristica generale del revisionismo, quella di contestare le decisioni prese dopo il primo conflitto mondiale nei trattati di Versailles.
Fuori dalla tradizione continentale si tenta di fondare culturalmente il revisionismo come esito della lezione popperiana circa il falsificazionismo e l’incommensurabilità dei paradigmi, il far venir meno gli stereotipi. E’ il revisionismo (e non l’ideologia) che impedisce al passato di morire in una sorta di maieutica storica che gli pone nuove domande derivanti anche dalle contingenze presenti. Utile (e non scontata) inoltre la spiegazione secondo cui il passato può cessare di vivere oltre che per damnatio memoriae, per sottrazione protratta di documenti al dibattito pubblico e, come è noto, per idealizzazione di fatti o fenomeni. Soffermandosi poi su comunità o segmenti di storia ritenuti marginali come gli indiani d’America, il revisionismo contesta in radice lo status quo in quanto sostiene le ragioni di chi ha meno da perdere: così facendo mantiene desta l’attenzione per la storia che l’establishment sembra invece voler addormentare.
L’apertura metodologica di questa scuola “irrituale” risiede nella capacità di chiarire e di mutare l’interpretazione degli eventi avvalorando con argomentazioni quella ritenuta più plausibile. Tra le ragioni, secondo la pagina inglese per cui il metodo di cui trattiamo si lascia apprezzare, vi sono la possibilità assegnata ad ogni generazione di porre nuove domande al passato e scoperte scientifiche nuove come ad esempio il DNA che dischiudono rinnovate possibilità alla stessa ricerca storica. Appare utile citare quale esempio: il declino di paradigmi mono-causali consolidati per interpretare fenomeni storiografici, come quello economico per la rivoluzione francese o la nuova lettura di periodi storici quali il Medio Evo. Anche i rapporti con il negazionismo sono assai meno dicotomici. Mentre, come abbiamo visto, negazionismo nella pagina tedesca coincide con revisionismo, gli autori anglofoni non solo avvertono la differenza tra i due fenomeni ma sostengono che il primo utilizzi il secondo per difendere le sue tesi sotto mentite spoglie.
La pagina francese ha un’impostazione diversa e si concentra su eventi particolari di grande impatto emotivo in quella nazione ma non tali da spiegare il fenomeno in esame nel suo complesso. La stessa pagina entra in un’inconsapevole contraddizione sulla linearità della storia. Oltralpe il revisionismo designa “la corrente d’opinione che chiedeva il riesame del processo Dreyfus”. Il secondo aspetto riguarda la ricaduta storiografica del positivismo cioè l’idea che esistano dei fatti come tali e che lo storico non debba spiegarli porta gli autori ad esprimere antinomie inconciliabili. Si sostiene da un lato che lo storico debba compiacere la propria epoca, dall’altro, come conseguenza si adduce la necessità di cancellare letture apologetiche di stampo romantico in cui si alludeva alla Francia patria eterna. Inoltre si denuncia un uso politico del termine da parte di chi intende rivedere (o screditare) tesi diverse.
La pagina italiana si articola in due voci: quella dedicata al revisionismo che offre un quadro generale abbastanza variegato attraverso un breve elenco delle forme che hanno caratterizzato il fenomeno nei diversi contesti. Non manca di soffermare l’attenzione su aspetti che hanno contraddistinto la storia dello Stivale come il Risorgimento, il brigantaggio e il fascismo. I riferimenti al socialismo riformista e al massimalismo rivoluzionario sono affrontati invece solo di passaggio. Secondo gli autori il revisionismo tenderebbe a “indicare una linea di pensiero o di condotta di chi sostiene la necessità di correggere opinioni e tesi (correnti o dominanti) in campo ideologico, politico o storico ritenute scorrette”. Questa voce è la sola ad individuare un precursore di questo metodo incessantemente indagatore in Lorenzo Valla che smascherò il falso della donazione di Costantino. Il vero revisionista tuttavia, non riduce il metodo alla dicotomia corretto-scorretto perché nel tempo corregge anche se stesso. Lo storico Saitta notava che il continuo modificarsi dei risultati è meno fulmineo nel settore storiografico rispetto ad altri campi come medicina o biologia mentre nei libri di storia si trovano affermazioni che resistono alla critica più inclemente. Siffatte circostanze dovrebbero sottrarre timori a chi vorrebbe una storia-narrazione tour court. L’altra voce, revisionismo storiografico, appare sostanzialmente desunta da quella anglosassone consentendo così di arricchire ulteriormente il quadro complessivo.
Al revisionismo del marxismo è dedicata un’apposita pagina in ogni lingua, ogni voce rimanda ad un’altra trasformando la tela informatica in un vero labirinto.