di Pietro Emanueli da InsideOver del 20 novembre 2021
Il nazismo è sorto e morto con Adolf Hitler, il Führer che aveva sognato un Reich di mille anni e il cui fedelissimo Heinrich Himmler credeva di essere la reincarnazione di Enrico l’Uccellatore, ma i nazisti no, non perirono né scomparvero con la caduta di Berlino e con la consegna alla storia della breve epopea del Mito del ventesimo secolo. Perché molti di loro riuscirono a scappare, chi in America Latina – tra i nove e i dodicimila – e chi in Medio Oriente, riuscendo a rifarsi una vita, sottraendosi alla giustizia di Norimberga e alla vendetta del Mossad fino all’ultimo giorno.
Alcuni, tra quei tanti superstiti, avrebbero profittato della seconda occasione per trovare un nuovo scopo, perché più amanti dell’azione che dell’anonimato. Johann von Leers, ad esempio, sarebbe divenuto uno dei più importanti propagandisti del nazionalismo arabo e dell’antisionismo. Otto Skorzeny, il famigerato liberatore di Mussolini, avrebbe costruito una fortuna offrendo le proprie consulenze politico-militari al miglior offerente. E Reinhard Gehlen, invece, sarebbe diventato il “nazista della Cia”.
Un “nazista qualunque”
Reinhard Gehlen nacque in quel di Erfurt, la capitale della Turingia, il 3 marzo 1902. Figlio di due cattolici praticanti, che per lui sognavano una carriera accademica, Gehlen, una volta adulto, avrebbe fatto il contrario di quanto desiderato dai genitori. Non soltanto, infatti, sarebbe diventato ateo, abbandonando la fede di famiglia, ma si sarebbe arruolato nelle forze armate weimariane, la Reichswehr.
All’interno della Reichswehr, nata per sostituire la possente armata guglielmina, Gehlen avrebbe fatto carriera. Nel 1935 la licenziatura presso l’Accademia di commando delle forze armate (Führungsakademie der Bundeswehr) e, subito dopo, la promozione al grado di capitano accompagnata dall’assegnazione allo Stato maggiore generale.
Gehlen non si sarebbe distinto per azioni particolari durante la prima parte della Seconda guerra mondiale. Non era, infatti, interessato a risaltare agli occhi del Partito: era un nazionalista, non un nazionalsocialista. Impegnato sostanzialmente nel teatro orientale, dapprima in Polonia e poi in Unione sovietica, Gehlen avrebbe quivi alternato ruoli di medio comando e intelligence.
La svolta sarebbe avvenuta nel corso della battaglia di Stalingrado, alla quale Gehlen avrebbe partecipato direttamente in qualità di comandante del Fremde Heere Ost, la divisione specializzata nello studio del campo sovietico. Alla guida di tale sezione avrebbe trovato il proprio scopo esistenziale: l’intelligence. Fu lui, invero, che, accorgendosi della disorganizzazione di quella che avrebbe dovuto essere una realtà di eccellenza, avrebbe coordinato personalmente l’arrivo di linguisti, geografi, antropologi e altri conoscitori del mondo russo in aiuto ai militari.
Il piano B
Gehlen avrebbe avuto l’occasione di (di)mostrare al mondo quali fossero le sue reali convinzioni politiche nel 1944, quando fu contattato da Henning von Tresckow, Claus von Stauffenberg e Adolf Heusinger per prendere parte all’operazione Valchiria, ovverosia alla congiura di palazzo contro il Führer. Congiura alla quale Gehlen avrebbe partecipato, seppure giocando un ruolo minoritario, cioè garantendo al trio copertura nel proprio ambiente.
La scoperta del complotto, con la successiva esecuzione dei protagonisti, avrebbe costretto Gehlen alla fuga. Una fuga durata fino alla caduta di Berlino. Morto Hitler, comunque, qualcun altro avrebbe cominciato a cercarlo: gli Stati Uniti.
Affidabile perché naziscettico, nonché utile perché conoscitore della realtà sovietica e possessore di una grande quantità di intelligence, Gehlen era l’uomo di cui gli Stati Uniti e la nascente Central Intelligence Agency abbisognavano per combattere la minaccia del domani: l’Unione Sovietica. E lui, tanto naziscettico quanto anticomunista, li avrebbe aiutati volentieri.
Al servizio della Cia
Il patto tra Gehlen e gli Stati Uniti fu siglato nel maggio 1945, sullo sfondo della Berlino in macerie, e fu strutturato come un do ut des basato sulla promessa di libertà in cambio di accesso agli archivi della Fremde Heere Ost e aiuto nella creazione di una struttura transnazionale in chiave anticomunista.
Di lì a breve, ovvero entro la fine dell’anno, Gehlen avrebbe messo in piedi una struttura spionistica dedicata al monitoraggio delle manovre sovietiche nell’Europa centro-orientale: l’Organizzazione Gehlen, altresì nota come “L’Organizzazione”. Composta da ex colleghi della Fremde Heere Ost, e in contatto con l’Office of Strategic Services – il precursore della Cia –, la rete Gehlen avrebbe svolto un ruolo-chiave tanto nella formazione dei futuri servizi segreti della Germania Ovest quanto nella foggiatura dell’agenda americana per l’Europa comunista.
Entro la fine del 1946, complice l’ottimo lavoro di spionaggio esperito, Gehlen avrebbe potuto far uscire la propria entità dall’ombra, camuffandola dietro l’apparentemente inoffensiva Organizzazione per lo Sviluppo industriale della Germania meridionale. Un nome trasudante innocuità ma, in realtà, nascondente una potente e ramificata agenzia di spionaggio composta da una squadra di 350 dipendenti e da un piccolo esercito di circa quattromila 007.
Gli agenti della Gehlen sarebbero stati gli occhi e le mani della Cia nel cuore della Cortina di Ferro, fino agli anni Cinquanta inoltrati, in quanto incaricati di interrogare ogni prigioniero di guerra di ritorno dai campi sovietici, di condurre operazioni di spionaggio nella Germania Est e nel Patto di Varsavia e di costituire delle micro-reti di resistenza a scopo spionistico nelle repubbliche sovietiche più permeabili – come Baltici e Ucraina.
L’epopea dell’organizzazione Gehlen, comunque, sarebbe giunta al termine tra la seconda metà degli anni Cinquanta e la prima parte dei Sessanta, quando la qualità del servizio offerto agli Stati Uniti avrebbe cominciato a diminuire vertiginosamente a causa di fughe di notizie e raccolta di informazioni false. Gehlen e la Cia avrebbero scoperto il motivo di simile avvenimento soltanto nel 1961, sorprendendo tre agenti insospettabili e di alta classe – Johannes Clemens, Erwin Tiebel e Heinz Felfe – a passare documentazione ai sovietici.
Direttore dei servizi segreti tedeschi
In concomitanza con il ruolo direttivo esercitato presso l‘Organizzazione, Gehlen avrebbe lavorato anche per la madrepatria, ottenendo da essa l’incarico della vita: la direzione del neonato Servizio di Intelligence Federale (BND, Bundesnachrichtendienst). Istituito nel 1956, Gehlen ne sarebbe diventato il primo direttore.
L’ex nazista avrebbe guidato il BND fino al 1968, per dodici anni – un record ancora oggi imbattuto –, quando infine avrebbe ceduto al clima di pressione, ostilità e diffidenza emerso nell’immediato dopo-scoperta dei tre del Cremlino, cioè i doppiogiochisti Clemens, Tiebel e Felfe. Il trio, invero, non operava soltanto per conto della rete Gehlen, allo scopo di indebolirla, ma era anche impiegato dalla BND, dalla quale trafugava informazioni riservate sulla politica tedesca e sulla cooperazione euroatlantica.
Su Gehlen, in quanto direttore del BND e testa dell’Organizzazione, sarebbe ricaduta ogni colpa per la grave infiltrazione ai danni della sicurezza della Germania Ovest. Di più, oramai divenuto un vero e proprio capro espiatorio sul quale addossare ogni responsabilità, Gehlen cominciò a divenire oggetto di attacchi di vario genere e provenienti da differenti latitudini.
Nel 1968, dopo aver seguito il processo al trio del Cremlino e avviato un timido processo di ristrutturazione del BND, Gehlen si sarebbe tirato ufficialmente fuori dal servizio di intelligence. Di lì a breve, con l’avvio dell’era Wessel, avrebbe scoperto il vero motivo delle pressioni incessanti: alla classe dirigente tedesca era stato ordinato di denazificare i propri apparati, svuotandoli della presenza di ex seguaci del Terzo Reich e riempiendoli di esponenti della nuova generazione.
Gehlen, in sintesi, aveva fatto il suo tempo. Perché gli Alleati maggiori, e la stessa opinione pubblica, non avevano più intenzione di accettare che dei collaboratori del Führer, in alcuni casi colpevoli di gravi crimini di guerra, occupassero posizioni di rilievo nella nuova Germania. Ne andava della credibilità dell’Occidente, oltre che della Germania “buona”.
Morì l’8 giugno 1979, circondato dalle critiche del nuovo BND, demonizzato dall’opinione pubblica e scaricato dalla stessa Cia – i cui portavoce sminuirono pubblicamente l’importanza giocata dalla rete Gehlen. Forse perché vittima di questo clima, e desideroso di dire la propria sugli eventi del dopoguerra, trascorse gli ultimi anni alla scrittura di un libro di memorie, che riuscì a pubblicare prima del trapasso.