Alex Preston, firma di “The Guardian”, ha recensito Forgotten, il nuovo libro di Raja Shehadeh – avvocato, attivista e considerato il più grande prosatore della Palestina, a lungo una voce di razionalità e moderazione nel complesso panorama della politica arabo-israeliana. Preston riferisce che il primo libro non accademico di Shehadeh, When the Bulbul Stopped Singing, raccontava l’assedio del 2002 della sua città natale, Ramallah, mentre Palestinian Walks, vincitore del premio Orwell, descriveva come l’occupazione di fatto della Cisgiordania da parte di Israele avesse alterato la sua geografia e storia. Preston nota che l’anno scorso Shehadeh ha pubblicato What Does Israel Fear from Palestine?, il suo primo libro dopo gli attacchi del 7 ottobre, un’opera in due parti: un’analisi misurata della storia e un resoconto furioso della devastazione di Gaza, che trasmetteva l’impressione di un uomo caduto, dopo decenni di impegno, nella disperazione.

Preston scrive sul “Guardian” che è un sollievo trovare in Forgotten un Shehadeh diverso: impegnato, analitico, consapevole del peso della storia ma non disposto a lasciarsi schiacciare. Secondo Preston, ciò potrebbe essere dovuto alla coautrice, la moglie di Shehadeh, l’accademica Penny Johnson. La prosa, riferisce Preston, rimane legale e precisa, ma la collaborazione le conferisce una forza discreta. La voce in prima persona plurale è intima ma risoluta, e i riferimenti a “Raja” e “Penny” in terza persona suggeriscono, secondo Preston, una distanza che li riconosce come soggetti in questa tragedia storica.
Preston spiega che il progetto di Forgotten richiama Palestinian Walks, ma con un obiettivo chiaro: Shehadeh e la Johnson cercano prove della storia palestinese in Cisgiordania – tracce antiche e recenti di una cultura millenaria e memoriali che testimoniano le sofferenze dei palestinesi. Preston paragona il libro a WG Sebald, notando la somiglianza nell’eleganza malinconica della prosa e nel metodo di scavo meditativo della storia nel paesaggio. A differenza di The Rings of Saturn di Sebald, però, in Palestina, secondo Preston, la violenza non è sepolta né storica, ma immediata e in corso. Preston cita gli autori: “Quante vite umane e quanti futuri sarebbero stati preservati… se il governo israeliano… avesse impedito ulteriori insediamenti?”, e riferisce che gli autori si dirigono a Nablus per vedere come i palestinesi commemorano i loro morti.
Secondo Preston, Forgotten esplora come la geografia e la storia siano manipolate, controllate e cancellate, un concetto legato alla biopolitica di Foucault e Agamben. Muoversi in Palestina, scrivono Shehadeh e la Johnson, significa affrontare restrizioni – permessi, checkpoint, deviazioni – progettate per ostacolare e sfinire. Preston cita: “Checkpoint, chiusure e un regime di esclusioni hanno privato le nuove generazioni della possibilità di percepire il paese come un’unità geografica.”
Preston riferisce che gli autori visitano le rovine di Kafr Bir’im, distrutto nel 1953, la tomba del poeta Mahmoud Darwish, khan ottomani, e siti come Gibeon e Qasr al-Yahud, trovando monumenti come quello agli aviatori turchi e l’unico memoriale pubblico della Nakba del 1948. Ovunque, secondo Preston, la storia è distorta o cancellata dal potere israeliano.
Eppure, Preston sottolinea che Forgotten è un libro di resistenza politica ed esistenziale. Shehadeh e la Johnson, settantenni, offrono, secondo Preston, una visione di un’eredità palestinese che rifiuta di essere cancellata, persistendo nonostante i tentativi di eliminarla. La storia e la terra, scrivono gli autori secondo Preston, non possono essere facilmente obliterate: fiori sbocciano, alberi reclamano la terra distrutta, anemone rosse spuntano tra le rocce. Preston riferisce che Shehadeh e la Johnson rimangono incantati dalle colline, dagli avvoltoi e dalle nuvole di fiori di mandorlo, e che Forgotten insiste sulla promessa di un futuro ricco e duraturo.
Preston conclude sul “Guardian” che, rispetto ai libri precedenti di Shehadeh, descritti come fari contro l’oppressione israeliana, Forgotten è forse la luce più brillante.