di Giorgio Ventura da https://www.thrillerstoriciedintorni.it del 24 settembre 2025
Ahi Pisa, vituperio de le genti! Chi non conosce questa frase di Dante, tratta dal XXXIII canto dell’Inferno? È entrata ormai nell’immaginario collettivo come simbolo dell’antipatia che circondava Pisa nel Medioevo. Pochi forse ricordano che l’invettiva, alcuni versi sotto, continua con parole ancora più dure:
muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch’elli annieghi in te ogne persona!
In realtà Dante, che fa pronunciare le parole al conte Ugolino, intrattenne buoni rapporti con Pisa: pare vi abbia soggiornato durante la stesura del “De Monarchia” e in seguito all’esilio da Firenze.

Dunque significa che, sotto sotto, i pisani erano amati durante il Medioevo? Non proprio: la loro fama era più vicina a quella di avversari temibili che di amici fidati.
Nel suo periodo di massimo splendore, tra l’XI e il XIII secolo, Pisa era una delle maggiori repubbliche marinare e, grazie allo sbocco sul mare, dominava il Mediterraneo godendo di un vantaggio strategico rispetto alle rivali toscane, Lucca e Firenze. Esercitava il suo potere attraverso gabelle per chi transitava sull’Arno e vere e proprie azioni di pirateria.
Secondo la tradizione, proprio a causa di una tassa sul sale imposta da Pisa nell’XI secolo, i fiorentini iniziarono a produrre il pane “sciocco” (privo di sale) che, mille anni dopo, continua a dividere i palati.
Un esempio di aggressività marittima è la razzia del 1063: le navi militari pisane, ancorate all’isola del Giglio, avvistarono una nave di Gaeta con dodici monaci di Montecassino diretti in Sardegna dal Re di Torres Barisone. Questo contatto “commerciale” non era gradito ai pisani che saccheggiarono e distrussero l’imbarcazione.

Episodi come questi non furono isolati. Pisa, fedele agli imperatori e dominatrice dei mari, trasformò la propria potenza navale in uno strumento politico e militare: sconfisse gli arabi in numerose battaglie navali, partecipò con 120 imbarcazioni alla Prima Crociata ed espanse i propri commerci in Sardegna, alle Baleari, in Corsica e persino in Maghreb. Nel nord Africa il controllo era così elevato che un privilegio arabo del 1264 affermava che nessun mercante cristiano sarebbe potuto entrare nei porti di Tunisi e Bugia tranne quelli voluti dai pisani. E una fonte genovese del periodo, sempre riferendosi all’Africa settentrionale, confermò che, a parte i pisani, erano pochi i cristiani a visitare quei luoghi.
Nel Maghreb, Pisa installò numerosi fondachi, luoghi sottoposti a extraterritorialità dove vigevano le leggi pisane. C’era massima libertà, ma forse un po’ troppa dato che un governo locale chiese di limitare le attività di prostitute cristiane nei fondachi. Pisa esportava legno, navi, ferro e lino… ma anche servizi accessori!
Due lettere arabe del 1201 alludono a problemi sorti con le autorità maghrebine, forse dovuti ad alcuni attacchi pisani a navi saracene compiuti sotto gli occhi di tutti. Per paura di rappresaglie, pare che i pisani siano fuggiti a rotta di collo dal fondaco.

I pisani comunque non esitavano a schierarsi con i saraceni quando si trattava di affari: persino l’arcivescovo di Pisa, Federigo Visconti, biasimava i suoi conterranei che portavano armi agli infedeli invece di schierarsi con i cristiani.
Le testimonianze dell’epoca confermano una reputazione ambivalente: il geografo arabo al-Idrisi apprezzava la ricchezza di Pisa ma osservò anche che il ricordo delle sue azioni era orribile e che la sua popolazione era sempre pronta a imprese del mare contro altri paesi. Al-Zuhuri, un viaggiatore arabo, nel 1150 descrisse Pisa come una città con abitanti prontissimi alla guerra e marinai capaci, ma anche perfidi ed empi, carichi di violenza e cattivi.
La terribile fama dei pisani viveva anche nelle leggende popolari. Si narra che a Santa Zita, in viaggio da Lucca a Pisa, fosse stato consigliato di non andare perché in terra pisana c’erano briganti che svaligiavano e bistrattavano i pellegrini. D’altra parte, è attestato un contratto lucchese che prevedeva danni causati da pisani. Probabilmente nasce in questo periodo il detto meglio avere un morto in casa che un pisano all’uscio, segno di un risentimento che andava oltre le rivalità commerciali.
Eppure i pisani non erano solo odiati ma anche rispettati per le loro capacità: la loro industria era rinomata in tutto l’impero, tanto che Federico II invitò fabbri pisani a realizzare armature in Sicilia. Sempre al-Zuhuri asseriva che le spade pisane fossero migliori di quelle indiane.
Racconta Fra’ Salimbene che a Parma, nel 1285, non potendo fondere una campana per mancanza di metallo, chiamarono un pisano che fu omaggiato dai parmensi come un grande barone. Tuttavia, l’alterigia del fabbro, che volle sfidare Dio fondendo una campana gigantesca, venne punita con un segno divino che rese la lingua dell’enorme campana muta.

In conclusione, la fama di “popolazione più odiata della Toscana” accompagna Pisa fin dal Medioevo. Era una città rispettata per la potenza militare e l’abilità tecnica, ma temuta per la sua aggressività e la sua superbia. Dopo la bruciante sconfitta della Meloria del 1284 contro la rivale Genova, nel XIV e XV secolo Pisa fu assoggettata a Firenze e perse importanza politica. Nei secoli successivi la sua rivalità campanilistica con le altre città toscane — soprattutto con Livorno — si sarebbe comunque acuita. Ma questa è un’altra storia.