«Sono sempre più convinto – spiega – della santità di questo grande Papa e certamente se avessi scoperto nell’Archivio Segreto vaticano qualsiasi documento che potesse minare la sua causa di beatificazione, sarei stato il primo a denunciare la cosa». Padre Gumpel ha vissuto con amarezza la reazione di alcune frange del mondo ebraico all’ulteriore passo in avanti verso la beatificazione di Eugenio Pacelli.
«Prima di tutto vorrei dire che non tutto il mondo giudaico è contro la beatificazione, ma solo una parte di esso. Penso ad esempio agli ebrei americani, che in maggioranza sono grati per quanto Pio XII si prodigò per salvare il maggior numero di vite umane. E poi mi chiedo come mai – ora che gli archivi vaticani sono aperti fino al febbraio 1939 – non si accede a questi documenti. Si conoscerebbe un Pacelli nunzio in Baviera e segretario di Stato sotto Pio XI molto diverso da quello raffigurato da Rolf Hochhuth nel suo dramma Il Vicario».
Gumpel aggiunge un particolare: «Ci sono tanti documenti inediti in difesa di Pio XII nelle cancellerie di molti Paesi. Mi chiedo: perché questi testi non vengono studiati?». Gumpel ricorda i tanti discorsi pubblici di Pacelli contro il nazismo e il razzismo, come «l’allocuzione natalizia del 1942», e fa sua la tesi dello storico e biografo di Winston Churchill, l’inglese Martin Gilbert di origini ebraiche che il cosiddetto «silenzio di Pio XII» permise di salvare molti più ebrei di una esplicita condanna.
Anche il domenicano Ambrosius Eszer, il religioso che per conto della Santa Sede ha condotto un’ulteriore indagine sulla causa di beatificazione di Pio XII, gli ha confermato la sua convinzione: «Nel luglio scorso mi ha scritto una lettera, dove si legge: “Ho finito il mio lavoro presso l’archivio della Segreteria di Stato e ogni nuova ricerca potrà confermare la posizione attuale della Santa Sede su Pio XII”». Gumpel snocciola i tanti aspetti poco conosciuti sulla vita del Pontefice a favore degli ebrei: «È morto povero, lui principe romano, perché usò buona parte delle sue fortune per salvare il maggior numero di ebrei perseguitati e nascosti nei conventi. Mi tornano alla mente le tante “missioni ufficiose” nella capitale della fidata suor Pascalina Lehnert.
Mai si ricorda quanto Pacelli fece prima della deportazione degli ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943. Si pensi al fatto che Pio XII si dichiarò disposto a recuperare dell’oro da consegnare al rabbino capo di Roma Eugenio Zolli. O la protesta informale che il Papa fece per la deportazione degli ebrei nel 1943 all’ambasciatore Ernst von Weizecker. Una testimonianza – quest’ultima – da me raccolta dalla viva voce della principessa Enza Pignatelli Aragona». L’augurio finale di padre Gumpel è che, dopo questo importante attestato, «presto o tardi papa Pacelli venga elevato agli onori degli altari. Non so dire quando, perché non sono né un profeta né un indovino. Ma sono sicuro che avverrà e Pio XII potrà essere venerato prima come beato e poi come santo».
Eszer: «I miei dieci mesi di ricerche supplementari confermano: il Vaticano difese gli ebrei»
Dieci mesi di ricerca presso la prima sezione dell’archivio della Segreteria di Stato, esplorando 27 faldoni per appurare come Pio XII, attraverso la sua rete diplomatica e il suo provvidenziale silenzio, si fosse mosso a favore degli ebrei durante la Shoah. È la conseguenza del supplemento d’indagine richiesto, solo pochi mesi fa, dalla Santa Sede e da Benedetto XVI al padre domenicano tedesco Ambrosius Eszer, prima di dare il via libera al decreto sull’eroicità delle virtù di Papa Pacelli.
E l’indagine di padre Eszer – che ha studiato le carte relative a lettere e a messaggi arrivati in Vaticano tra il 1939 e il 1945 – ha permesso di dissipare ogni eventuale dubbio sulla beatificazione di Pio XII. Dal suo convento di San Paolo nel cuore di Berlino, padre Eszer, 77 anni, insigne studioso e già relatore generale alla Congregazione per le cause dei santi, commenta con grande soddisfazione la notizia che Eugenio Pacelli è ufficialmente «servo di Dio»: «Sono contento, perché proprio la recente indagine mi ha permesso di vedere quanto la Santa Sede e di riflesso Papa Pacelli si siano prodigati per gli ebrei». E aggiunge un particolare: «Quando si apriranno gli archivi penso si scoprirà ancor di più quanto la luce del Pastor Angelicus meriti di brillare per quanto, a volte nel silenzio e fuori dai riflettori, si è prodigato per arginare il dramma della Shoah».
Il domenicano, nell’arco di dieci mesi, ha verificato molte delle corrispondenze degli episcopati (soprattutto quello tedesco e dei Paesi occupati dal Reich): «Sono stato scelto io – sorride p. Ambrosius – anche perché quasi tutti i documenti sono in lingua tedesca, dai ritagli di giornale alle lettere autografe». E tra le tante fonti, edite e no, padre Eszer ne ricorda alcune molto significative: «Mi ha sorpreso la diplomazia nascosta e parallela, soprattutto in Paesi come Cecoslovacchia o Ungheria, messa in atto dalla Santa Sede per salvare tante vite.
Penso alla vigorosa lettera di protesta dell’arcivescovo di Breslavia Adolf Bertram indirizzata ad Hitler, in cui il cardinale si oppose a separare nei matrimoni misti i cattolici dagli ebrei, scongiurando così la deportazione di questi ultimi». Ma emergono particolari anche sul ruolo dell’Italia nel Patto d’acciaio: «Strano a dirsi, ma la presenza dell’Italia nell’Asse ha permesso di mitigare la ferocia nazista verso gli ebrei.
Mi ha colpito nella mia verifica scoprire una lettera preoccupata di Mussolini al gerarca fascista Cesare de Vecchi sul fatto che Hitler desse poca importanza al rischio di proteste dei cattolici tedeschi fedeli a Roma, perché costituivano solo un terzo della popolazione». In generale, conclude il domenicano, «quanto ho verificato conferma quanto già pubblicato nei 12 volumi degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, editi dai gesuiti Angelo Martini, Burkhart Schneider, Robert Graham e Pierre Blet». Cioè che il presunto «silenzio» di Pio XII era obbligato per non compromettere ulteriormente la situazione degli ebrei.