Non un gioco e nemmeno una guerra presa sul serio. Solo la sfiducia di Edgar Hoover, il capo della FBI che si sentiva imperatore e non diede peso alla spia “slava” mandata dagli inglesi. Per alcuni, lasciò in un cassetto le informazioni che avrebbero salvato migliaia di vite
di Davide Bartoccini da Il Giornale del 13 dicembre 2021
Giugno 1941, Cascais, Portogallo. Due spie doppiogiochiste a mezzo servizio della Germania nazista, Johnny Jebsen, nome in codice Artist, e Dusko Popov, nome in codice Ivan, contemplano il mare e si confidano da vecchi amici quali erano al tempo dell’università a Friburgo i particolari di una missione “singolare” quanto segreta. Artist, rampollo di una ricca famiglia di Amburgo che un minuto prima dello scoppio del conflitto reclutò il suo vecchio amico dopo averlo salvato dalle mani della Gestapo, si lascia sfuggire a pranzo d’essersi recato nel sud dell’Italia, presso la base navale di Taranto, per conto dei servizi segreti giapponesi che avrebbero dovuto riferire direttamente al Mikado. Sulla base navale italiana era stato sferrato in novembre un brillante quanto devastante raid notturno – condotto da appena venti aerosiluranti lanciati da una sola portaerei inglese, la Illustrious.
“Perché i giapponesi sono così interessati a Taranto?” domanderà incuriosito Ivan, che nei servizi segreti inglesi risponde al nome in codice di Tricycle. Questa domanda, con ovvia risposta almeno per noi che conosciamo già lo svolgersi degli eventi, è il principio di un grande mistero: quello che riguarda il possibile insabbiamento di informazioni segrete di altissimo rilievo che avrebbero permesso a pochi uomini di cambiare decisamente il corso della storia.
Occhi a “mandorla” su Taranto
Per il barone Gronau, esperto consigliere del Reich di stanza a Tokyo che aveva accompagnato Jebsen a Taranto, i giapponesi sarebbero entrati certamente in guerra se Roosevelt non avesse revocato l’embargo dei prodotti petroliferi. L’attacco sarebbe avvenuto nel momento in cui l’Impero giapponese avesse raggiunto la soglia critica dei soli 12 mesi di autonomia delle scorte petrolifere. Durante la missione segreta di Taranto, la scorte erano state stimate approssimativamente a 18 mesi. E quando a Dusko Popov venne inviato in America come spia al servizio dei nazisti – ma in realtà fedele a Londra e agli alleati unitisi in lotta contro Hitler – quelle scorte andavano giorno dopo giorno esaurendosi. Il quartier generale dell’Abwehr, il servizio segreto della Germania, aveva inviato Popov in America con alcuni “questionari” da riempiere di particolari informazioni richieste dal comando di Berlino. Uno dei questionari doveva essere dedicato ad informazioni sulle isole Hawaii – sembrava che gli alleati giapponesi cercassero dati specifici sui depositi di mine e munizioni che si trovavano sull’isola di Oahu, proprio dove sorgeva la base navale di Pearl Harbor. Per Tricycle non c’erano più dubbi: tutto era collegato, l’attacco della flotta giapponese era imminente.
Tutto sembrava risolto, le informazioni acquisite senza sforzo e avvalorate dall’intelligence di Londra, il viaggio sotto copertura negli Stati Uniti che avrebbe permesso a Popov di fingere di lavorare per i tedeschi quando continuava a passare informazioni agli inglesi, la salvezza per agli alleati americani che potevano in questo modo prepararsi a ricevere il nemico. Tutto tranne la mente viziata e prevaricatrice di un uomo difficile da persuadere: il direttore dell’FBI J. Edgar Hoover che in assenza di una servizio segreto omologo all’MI6 britannico, si occupava di fare la guerra ai gangster come ai nazisti.
Quello studio su Hoover
Sulla base di numerosi documenti reperiti dagli storici della Michigan State University John F. Bratzel e Leslie B. Rout Jr., dalle ricerche effettuate dallo scrittore premio Pulitzer John Toland, e non ultimo del libro autobiografico “Spia contro Spia” scritto dallo stesso agente doppiogiochista Dusko Popov, la colpa per il successo devastante dell’attacco lanciato dai giapponesi a Pearl Harbor andrebbe attribuita in larga parte alle negligenze di Hoover che “ricevette un doppio avvertimento più di tre mesi prima dell’attacco che i giapponesi” e per qualche oscuro motivo, deciso di ignorarlo. Completamente. L’uomo che aveva salvato gli Stati Uniti dalla criminalità organizzata, e che avrebbe servito fedelmente il Federal Bureau of Investigation per 48 anni lunghi anni, avrebbe deliberatamente ignorato in dossier top-secret. Perché?
Quando venne sferrato l’attacco a Pearl Harbor, l’agente Tricycle era in missione in Brasile, per conto dei tedeschi. Al suo ritorno, dopo aver ascoltato alla radio che i giapponesi avevano attaccato gli Stati Uniti, era certo di aver salvato molte vite con le sue informazioni. Ma presto venne a sapere che la flotta americana non solo era stata presa di sorpresa, ma era stata annientata mentre era ancora alla fonda, come era avvenuto a Taranto. E non erano nemmeno le uniche. Prima che venisse istituito l’Oss, ossia il servizio segreto padre della Cia, i compiti di spionaggio, controspionaggio, monitoraggio e crittografia erano affidati a due distaccamenti separati e non coesi: l’OP-20-G che faceva capo all’Office of Naval Intelligence per la Marina e il Signal Intelligence Service per l’Esercito. Il servizio d’intelligence “separato” lavorava da tempo alla decrittazione del codice in cifra usato dalla Marina giapponese, e al cosiddetto “Purple code”, che quando l’attacco era ormai imminente poté captare le comunicazioni degli emissari diplomatici che avvertivano Tokyo del complotto fallimento dei negoziati che si sarebbero tradotti in una dichiarazione di guerra. Il 4 di dicembre Roosevelt era stato informato di una serie di operazioni di spionaggio che avevano avuto come solo obiettivo l’accumulo di informazioni riguardanti la potenza e il dislocamento delle forze armate statunitensi nelle Hawaii.
Il mistero del dossier “Tricyle”
“Quattro mesi fa vi ho avvertiti. Sembrerebbe che non ne abbiate tenuto conto. A Pearl Harbor sono stati sorpresi con le brache calate”, avrebbe gridato l’agente segreto di origini slave, ispirazione di Ian Fleming per il suo 007, non appena tornato in America. Ma né i suoi colleghi dei servizi segreti inglesi, né quelli dell’Fbi, né tanto meno Hoover in persona che lo aveva più volte cacciato dal suo ufficio a male parole, potevano dire o fare niente. Ormai il dato era tratto. E restava solo da chiedersi perché le preziose informazioni di Tricycle erano state abbandonate in fondo a qualche cassetto.
“Non ho mai trovato risposta al mistero di Pearl Harbor. Esaminando la questione e cerca di raggiungere una conclusione ho prestato attenzione a tutte le ipotesi e a qualunque congettura”, ha scritto l’agente Popov nel suo libro pubblicato nel 1974. “Vi furono inchieste e si insediarono corti marziali”, ma niente di tutto ciò non portò mai a nulla se non al coinvolgimento degli Stati Uniti in quel secondo conflitto mondiale. “Non ho mai letto né sentito di parlare dei documenti che avevo portato negli Stati Uniti e che provavano senza dubbio l’esistenza di piano giapponese contro Pearl Harbor”. E la cosa era inquietante, da un certo punto di vista.
L’idea che il presidente Roosevelt mosso da doppi interessi avesse concesso deliberatamente ai giapponese di attaccare le Hawaii – come molti fanatici dei complotti hanno a lungo sostenuto – sfiorò la mente della spia “slava” come quella di molti altri, ma svanì in fretta, raggiungendo la semplice conclusione che un attacco sferrato dai giapponesi verso una base americana pronta ad accoglierli – “senza farsi sorprendere le brache calate” cito testualmente – avrebbe sortito lo stesso identico effetto. Quello stillicidio dunque, non era funzionale, nemmeno alla retorica del giorno dell’Infamia. Del resto un qualsiasi attacco sferrato prima di una formale dichiarazione di guerra sarebbe stato sufficiente a muovere la guerra all’Impero Giapponese e ai suoi alleati dell’Asse.
L’oscura sfiducia del despota
Il primo a parlare apertamente delle preziose informazioni consegnate dall’agente doppiogiochista Tricycle sarà lo scrittore John Mastermann nel suo libro “The Double Cross Sistyem” (pubblicato nel 1972). In forza di alcuni documenti ottenuti in seguito al Official Secret Act, scriverà: “… il questionario di Trycicle per l’America conteneva un preavviso dell’attacco di Pearl Harbor verificatosi poi entro la fine dell’anno. Ma l’avvertimento restò inascoltato”. Riassumendo brevemente l’intreccio di servizi di spionaggio, il Comitato XX (ossia la sezione agenti doppi gestita dagli inglesi, ndr) , l’MI6, l’MI5 e le diverse sezione del Abwehr che passando per Lisbona, Londra e New York, aveva portato sulla scrivania di Hoover il dossier incriminato. “Hoover era pertanto in possesso di tutte le informazioni contenute nel questionario”, quindi al corrente delle domande avanzate dai giapponesi e dell’eventualità di un attacco nelle isole Hawaii emulo del raid di Taranto ideato dall’ammiraglio britannico Cunningham.
“Ovviamente era compito degli americani e non nostro [scrive l’autore britannico] trarre le debite conclusioni sui questionari dell’Abwher”, e a questa connotazione si ricollega infatti l’agente Popov, esprimendo proprio il sospetto che Hoover faccia da mastino, l’uomo della rettitudine misteriosa, dei dossier segreti per ricattare i Kennedy, delle relazioni oscure con la mafia che invece ricattava lui, avrebbe ignorato deliberatamente le informazioni fornite da quel playboy slavo e doppiogiochista per un misto di sfiducia, xenofobia e profonda antipatia, nutrita per un uomo così diverso da lui. È possibile sì, ma non dimostrabile. Almeno non completamente.
Tanti indizi che collegati potrebbero portare alla soluzione più semplice e spaventosa. Del resto il mondo dello spionaggio è così. Spesso si eseguono soltanto gli ordini, come avviene per i soldati semplici. Non sta a loro decidere come incrociare o impiegare quelle informazioni ottenute con l’inganno. Lo stesso Popov, nome in codice Ivan e Tricycle, quando venne inviato in Brasile per ottenere notizie su di un particolare materiale chiamato uranio, non era stato messo al corrente, né dai tedeschi prima né dagli americani poi, per quale motivo fosse così importante per l’ottenimento di un’arma mai vista prima: la bomba atomica.