Il processo dura da decenni, ma motus in fine velocior, per cui non ci stupiamo se ora ciò che prima veniva solo perseguito con un certo imbarazzo e nell’ombra oppure lasciato a zelanti passacarte che con entusiasmo proponevano formule tipo “inglese, impresa, internet” (ma allora venivano fischiati dai loro avversari politici), oggi viene detto a viso aperto davanti a platee oceaniche ammaestrate ad applaudire, comprensive di chi prima fischiava alle “Tre I”. La Storia è la grande nemica di ogni regime intrinsecamente malvagio, e quello turbocapitalista non è da meno. E il perché è presto detto: non deve essere possibile fare confronti col passato. La vita deve essere ricondotta a un eterno presente (ecco anche lo sforzo dei media di attualizzare i racconti storici al cinema e in tv anziché contestualizzarli) affinché l’individuo non possa disporre di pietre di paragone.
Perché non sia mai – per esempio – che un ex-cittadino ora utente\consumatore\membro della community oggi possa aver ben presente la storia del XX secolo e la nascita dei totalitarismi. Chissà, forse potrebbe fare scomodi parallelismi con la realtà attuale, per esempio constatando come ha fatto il filosofo Agamben che la deriva che sta prendendo la nostra repubblica assomiglia in maniera inquietante allo Stato nazionalsocialista: “da una parte sembra che lo stato sia ancora operativo, mentre dall’altro emergono nuovi poteri esterni che poi sono quelli che in realtà decidono”. Lo Stato costituzionale viene smantellato, e nel frattempo vengono costituiti nuovi organi che fagocitano i poteri prima esercitati secondo i crismi della legge, stavolta a legibus soluti. Certo, finché uno pensa che il “nazzzismo” sia quello raccontato dai film di guitti toscani, non arriverà mai a capire la sottile, agghiacciante verità nel ragionamento di Agamben. E dunque che la storia del Nazionalsocialismo venga malcompresa e ridotta a stereotipo da film fa perfettamente gioco a chi potrebbe trovare fastidioso un paragone. Non studiate tre, quattro volte a scuola la storia del Nazionalsocialismo, studiate i circuiti, gli applicativi di Windows 10 e l’inglese!
Del pari, non sia mai che uno conosca la storia della scienza. Anzi dellasscienza. Perché per esempio potrebbe avere davanti le serie storiche delle “occupazioni delle terapie intensive” e scoprire che da almeno 11 anni, tutti gli inverni che il Signore Onnipotente manda sulla Terra, assieme all’influenza stagionale, i titoli dei giornali parlano di “terapie intensive al collasso”. Ma questa pare quasi più cronaca che storia. Mentre è più materia storica avere presenti gli andamenti epidemiologici delle passate ondate di influenze e para-influenze. Come la Cinese (1957-1960) o la Spaziale (1968-1970) tanto per citarne un paio. E magari risulterebbe scomodo per la narrazione prevalente scoprire che queste epidemie hanno avuto un andamento molto paragonabile a quello delle attuali ondate di covid19 in assenza tuttavia di campagne sierologiche a tappeto. Oppure che perdurante la Spaziale si tenne il Raduno di Woodstock del 15-18 agosto del 1969 dove mascherine e distanziamento sociale non vennero neppure prese in considerazione (anzi, fu probabilmente il più grande scambio di bottiglie e fluidi organici della storia).
Così come pure sarebbe particolarmente fastidioso ripercorrere le vicende della storia del progresso scientifico. Non tanto Galileo Galilei, la cui vicenda è particolarmente abusata dai Brecht della situazione, quanto quella di Ignác Fülöp Semmelweis (1818-1865 – vedi anche Storia in Rete n. 63), l’uomo che inventò… le mani lavate. E che per aver contraddetto quello che LO DICE LASSCIENZA a metà ottocento ha passato il suo quarto d’ora di guai per sostenere che gli ostetrici dovevano lavarsi le mani fra un parto e l’altro se volevano evitare il diffondersi di infezioni fra le puerpere. Ma come? Un solo sciroccato che pretende d’aver ragione contro tutta la comunità scientifica? Impossibile! Eppure, se metà di voi oggi sta qui a leggere queste righe lo deve indirettamente a questo coraggioso ungherese che ebbe la sfrontatezza di sfidare i CTS del suo tempo. Semmelweis finì in un manicomio: fu spinto alla depressione e poi dichiarato pazzo dai suoi colleghi della Lobby delle Mani Lerce (“se vabbè, gombloddoh…”) per aver sfidato Lasscienza. In manicomio poi venne torturato e finì per morire di setticemia, esattamente come aveva postulato nelle sue opere mediche. Un martire. E “martire” in greco significa “testimone”. Ma nessun testimone può testimoniare nulla se la sua testimonianza non viene ascoltata. Pertanto meglio dimenticarlo. Studiate come si fa impresa, come si usano i tablet, come si guida una bici elettrica da fattorino, non come nel passato ci sia stata gente coraggiosa disposta a morire per i propri principi e per il progresso dell’umanità!
E veniamo finalmente alle Guerre Puniche, quella bazzecola che sconvolse mezzo mondo allora conosciuto e che determinò – dal 264 a.C. al 146 a.C. – il fatto che noi oggi parliamo una lingua discendente del latino e non del fenicio e che abbiamo (chissà ancora per quanto) il Diritto Romano come ferrea base della nostra civiltà giuridica. Al di là del fatto che qualunque subdotato con QI sotto i 70, studiando l’epopea di Attilio Regolo e Annibale, di Scipione e del Temporeggiatore potrebbe trovarvi degli ammaestramenti utili e belli (e le due cose non sono mai disgiunte), noi ci vorremmo soffermare solo su un episodio dello scontro fra Roma e Cartagine. Quello relativo alla religione punica e in particolare al culto di Baal. I Romani non erano facili all’intolleranza religiosa, ma per i Cartaginesi fecero una delle loro prime eccezioni. Il culto di Baal, come infatti ci informa Diodoro Siculo, era qualcosa di esecrando:
(Diodoro, come tutti i suoi contemporanei, chiamava il Dio con il nome del proprio pantheon con cui lo identificava, nella fattispecie, Crono). Questa storia dei sacrifici umani dei Cartaginesi raccapricciava i Romani. Plutarco racconta in maniera assai severa l’abitudine punica di acquistare i bambini dalle donne povere per poi donarli al loro moloch:
Ogni riferimento a fatti, cose o persone (contemporanei?) è puramente casuale. Meglio sfornare digital manager utili al moloch capitalismo che gente in grado di unire i puntini e capire in che razza di presente sta vivendo, vero signor ministro?