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Occhialì, il calabrese convertito che divenne governatore di Algeri

“Il grande ammiraglio. Storia e leggende del calabrese Occhialì, cristiano e rinnegato che divenne re” di Enzo Ciconte letto da Tullio Fazzolari

di Tullio Fazzolari da StartMag del 29 dicembre 2024 09:38

    Il Mediterraneo non è mai stato un mare tranquillo. Nemmeno quando veniva definito “mare nostrum” dagli antichi romani. Ma rispetto alle tragedie di oggi, ai naufragi e alle migliaia di morti, nei secoli scorsi aveva almeno qualcosa di epico grazie a personaggi carismatici. Alcuni, da Andrea Doria al corsaro Barbarossa, sono abbastanza noti. Ma c’è stato un altro protagonista con caratteristiche più complesse e a volte contraddittorie che è interessante conoscere. E lo racconta bene, come fosse un romanzo di Patrick O’Brian, Enzo Ciconte con “Il grande ammiraglio. Storia e leggende del calabrese Occhialì, cristiano e rinnegato che divenne re” (Rubbettino, 90 pagine, 10 euro). Basta leggere questa storia e ci si rende conto che se ne potrebbe fare un film che non sfigurerebbe né rispetto a “Master and Commander” né rispetto alla saga di Angelica.

    Occhialì, talvolta chiamato Uccialì, non era il suo vero nome che è invece Gian Luigi Galeni. E’ nato nel 1519 e vive fino all’adolescenza a Le Castella a pochi chilometri da Crotone. Il padre Birno è un pescatore esperto che insegna al figlio l’arte di andare per mare ma soprattutto spera che possa avere un futuro migliore e trova chi può dargli un’istruzione. Cosa rara a quel tempo per le persone della sua condizione sociale, Gian Luigi si rivela un ragazzo studioso oltre che un bravo marinaio. E poiché la madre è molto religiosa si prospetta per lui la possibilità di diventare monaco o sacerdote. Cambia tutto quando, a sedici anni, viene catturato dai corsari e ridotto in schiavitù. Messo ai remi di una galera ottomana e poi passato al servizio di un notabile di nome Giafer, Gian Luigi continua ostinatamente a professarsi cristiano. Poi, provocato da un altro schiavo che lo schiaffeggia e che lui, nonostante sia abbastanza gracile di costituzione, uccide con un solo pugno, è costretto a convertirsi all’islam: è l’unico modo per evitare la condanna. Ma è anche l’inizio di una folgorante carriera.

    Diventa un corsaro come quelli che lo avevano rapito e percorre rapidamente tutti i gradi della gerarchia della marina ottomana. Occhialì (che poi è la traslitterazione di UlucAlì, cioè Alì il rinnegato) viene subito considerato uno dei migliori comandanti. Sicuramente l’unico in grado di prendere il posto del terribile Barbarossa. La reputazione è assolutamente meritata. Occhialì riconquista Tunisi che era stata presa dai cristiani qualche anno prima. Riceve incarichi importanti come quello di governatore di Algeri. Ma forse la migliore prova di sé la dà proprio nel giorno di una grave sconfitta. Dalla battaglia di Lepanto la flotta ottomana esce distrutta. Si salva solo il settore comandato da Occhialì che torna a Istanbul esibendo come trofeo lo stendardo strappato ai Cavalieri di Malta. Ricco e carico di onori, è ormai “il grande ammiraglio” amato e rispettato dai turchi. Ma forse in cuor suo, come racconta Enzo Ciconte, non ha mai smesso di pensare alla terra dov’è nato. O addirittura alla fede in cui era stato allevato. E a questo punto storia e leggenda tendono a sovrapporsi…

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