“Non ti vanti di aver sterminato 70 mila persone”. Ecco chi sganciò le bombe su Hiroshima e Nagasaki

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Stephen Walker sul The Guardian di domenica 22 giugno 2025 ha riaperto i suoi archivi per riprendere alcune delle interviste realizzate per il saggio “Shockwave: Countdown to Hiroshima” pubblicato 20 anni fa da William Collins.

Quest’estate ricorre l’80° anniversario dei bombardamenti atomici che sconvolsero il mondo. Tutti i membri degli equipaggi delle missioni su Hiroshima e Nagasaki sono morti, e i sopravvissuti (gli hibakusha) sono sempre meno.

In un mondo dove il rischio nucleare cresce le testimonianze di chi partecipò a quelle missioni sono preziose. Rileggendo le interviste del 2004 con i membri degli equipaggi, Walker ha deciso di raccontare nuovamente le loro memorie.

Hiroshima: la missione perfetta

Theodore “Dutch” Van Kirk, navigatore dell’Enola Gay, il B-29 che sganciò la bomba su Hiroshima il 6 agosto 1945, descrisse quella mattina come “splendida”. “La città era visibile da 50 miglia, chiara come il cristallo. Perfetta,” disse in un ristorante cinese a San Francisco. Raccontò il momento del lancio: “Quando la bomba lasciò la stiva, virammo bruscamente per sfuggire all’onda d’urto. Tre minuti dopo, Hiroshima era sparita, coperta da fumo e polvere, con quella nuvola a fungo.” Van Kirk, morto nel 2014, ricordava lo stupore: “Non potevi immaginare qualcosa di così grande.”

Charles “Don” Albury, copilota di un aereo di supporto, descrisse la scena: “La nuvola aveva tutti i colori del mondo, salmone, blu, verdi.” Harold Agnew, fisico di Los Alamos, filmò l’esplosione con una cinepresa clandestina, unica testimonianza visiva dell’evento. “La città non c’era più,” disse.

Morris Jeppson, che armò la bomba in volo, ricordò il sollievo: “Ero felice, pensavo di tornare a casa.”

Nagasaki: la missione del caos

Tre giorni dopo, il 9 agosto, la missione su Nagasaki fu un disastro. Il bersaglio principale era Kokura, ma il fumo di un raid precedente la copriva. Con il carburante in esaurimento, l’equipaggio di Bockscar, guidato da Charles Sweeney e con Albury come copilota, dirottò su Nagasaki. Frederick Ashworth, che monitorava la bomba “Fat Man”, raccontò: “La città era coperta di nuvole. Non avevamo scelta.”

Il bombardiere Kermit Beahan individuò il bersaglio attraverso una fessura nelle nuvole e sganciò. La bomba esplose sopra una fabbrica, uccidendo 40.000 persone all’istante e altre 40.000 in seguito per radiazioni.

Riflessioni e rimorsi

Gli equipaggi tornarono a Tinian come eroi dopo Hiroshima, ma a Okinawa, dopo Nagasaki, non c’era nessuno ad accoglierli. Van Kirk e Albury non si pentirono: “Lo rifarei, salvò vite,” disse Van Kirk. Agnew sottolineò: “Senza Pearl Harbor, non ci sarebbe stata Hiroshima.”

Ma alcuni mostrarono rimorsi. Robert Shumard, morto nel 1967, ammise: “Non ti vanti di aver sterminato 60-70.000 persone.” Jeppson espresse “dolore” per la tragedia. Albury e Van Kirk visitarono Nagasaki tre settimane dopo. “C’era solo devastazione,” disse Albury. Vide un’ombra su un muro, traccia di un corpo vaporizzato, e sopravvissuti martoriati in un ospedale. “Non posso tornarci,” concluse. Poi, piano: “Mai più.”

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