Il 12 settembre 2009 moriva l’agronomo statunitense Norman Borlaug, considerato il principale artefice della “Rivoluzione verde” degli anni Sessanta. Con la diffusione dei suoi frumenti ad alta resa e l’opera di promozione delle moderne pratiche agricole (concimazione chimica, ricorso ai fitofarmaci, irrigazione artificiale e meccanizzazione) rivolta ai paesi emergenti di tutto il pianeta, Borlaug ha certamente meritato l’appellativo di “padre” di quella trasformazione che ha segnato il passaggio epocale dall’agricoltura di sussistenza all’agricoltura intensiva su scala globale: la stessa agricoltura che oggi è nel centro del mirino degli ambientalisti e dei fautori della “seconda rivoluzione verde”, auspicata da molti per fronteggiare la sfida data dal progressivo aumento della popolazione mondiale in un pianeta sempre più sfruttato nelle sue risorse. Pochi, tuttavia, sanno che la trasformazione operata da Borlaug (che nel 1970 gli valse il premio Nobel per la pace) ha radici più antiche e, soprattutto, italiane. Ci sono voluti molti anni perché questo dato di fatto iniziasse ad emergere in tutta la sua evidenza, ma oggi, almeno per alcuni di noi, non è più una novità sentire accostare la “Rivoluzione verde” degli anni Sessanta al nome di un agronomo italiano il quale, almeno 30 anni prima di Borlaug, aveva impostato e seguìto un percorso scientifico sorprendentemente simile, realizzando varietà di frumento che fecero gridare al miracolo nell’Italia tra le due guerre mondiali.
di Sergio Salvi da “Scienza e Tecnica” NN. 485-486, 201
Nazareno Strampelli (Castelraimondo, 29 maggio 1866- Roma, 23 gennaio 1942) è stato uno dei più grandi agronomi e genetisti agrari di tutti i tempi, sicuramente il più importante di sempre nel nostro Paese. Nato nelle Marche, figlio di possidenti terrieri, fin da bambino egli visse le problematiche associate alla bassa produttività della principale coltura di allora: il frumento. Allettamento, ruggine, stretta 1 – veri e propri flagelli – sono i nomi delle avversità che colpivano più di frequente il cereale. Per effetto di esse, la produzione non superava mai gli 8-10 quintali per ettaro; una resa irrisoria se paragonata alla capacità produttiva (anche dieci volte maggiore) dei frumenti moderni. Fu in questo contesto che il giovane Nazareno sentì nascere quella vocazione che lo porterà, nel 1891, a conseguire la laurea in agraria all’Università di Pisa. Nel 1900, nell’ambito dell’insegnamento di agraria svolto nelle scuole superiori di Camerino, Strampelli effettuò i suoi primi tentativi d’ibridazione del frumento, con lo scopo di creare una nuova razza resistente contemporaneamente alla ruggine e all’allettamento, incrociando tra loro varietà che possedevano separatemente le due caratteristiche. Questi esperimenti, svolti secondo approcci empirici di tipo tradizionale (incrocio spontaneo occasionale per vicinismo), non sortirono l’esito desiderato; tuttavia, grazie ad essi Strampelli intuì le potenzialità date dall’ibridazione per ottenere il miglioramento delle colture. Il 1900 è anche l’anno in cui, in Europa, i botanici Correns, de Vries e Tschermak riscoprirono i principi dell’ereditarietà che il monaco Gregor Mendel aveva pubblicato già nel 1866.
Strampelli venne a conoscenza delle leggi di Mendel solo nel 1904, praticamente in coincidenza col suo trasferimento a Rieti, avvenuto l’anno prima a seguito della vincita di un concorso per il posto di direttore della neoistituita cattedra ambulante di granicoltura. A Rieti, dove la coltivazione del frumento aveva un’antica tradizione, ebbe dunque inizio l’avventura scientifica che porterà il genetista, mediante l’applicazione sistematica del mendelismo e con la trasformazione della modesta cattedra ambulante in Regia Stazione sperimentale, ad avviare un programma di miglioramento genetico mirato all’ottenimento di nuove varietà di frumento capaci di maggiori rese. Per raggiungere lo scopo, Strampelli combinò sapientemente ibridazione e selezione genealogica, testando numerose varietà di frumento – fatte arrivare da ogni angolo del globo – sottoponendole ad incrocio con il locale frumento “Rieti originario”, molto apprezzato per la sua capacità di resistere alle ruggini. Nel 1914 Strampelli rilasciava il suo primo frumento resistente alle ruggini e all’allettamento, il “Carlotta” (così battezzato in onore della moglie, Carlotta Parisani, che fu anche la sua più preziosa collaboratrice), il quale, pur essendo suscettibile alla stretta, fece registrare ottime rese nei primi anni di sperimentazione. La soluzione al problema della precocità, ossia dell’anticipazione dell’epoca di maturazione, arrivò grazie all’impiego di un grano giapponese, la varietà “Akakomugi”, la quale, pur non avendo alcun pregio colturale, possedeva caratteristiche che l’occhio esperto di Strampelli riconobbe subito come fondamentali: si trattava di una varietà nana, essendo alta appena una sessantina di centimetri (un terzo rispetto all’altezza di molte delle varietà coltivate all’epoca), e decisamente precoce, in grado di giungere a maturazione tre settimane prima dei frumenti tradizionali. La bassa statura – una caratteristica che sarà poi introdotta anche da Borlaug nei suoi frumenti ad alta resa – è notoriamente associata ad una maggiore resistenza all’allettamento, mentre la precocità è fondamentale per far arrivare le spighe a maturazione prima che sopraggiungano le ondate di calore estive. Strampelli incrociò “Akakomugi” con l’ibrido ottenuto tra il “Rieti” e la varietà olandese “Wilhelmina”.
Ne scaturirono piante dalle quali lo scienziato ricavò alcune decine di varietà (tra cui le celebri “Ardito”, “Mentana”, “San Pastore”) dalle caratteristiche eccezionali: erano frumenti di bassa taglia (alti da 80 a 120 centimetri), resistenti all’allettamento, alle ruggini e in grado di maturare da una a tre settimane prima delle varietà convenzionali. Il tutto era stato possibile – ma Strampelli non lo sapeva, perché la scoperta sarà fatta molto tempo dopo da altri scienziati – anche grazie alla trasmissione di un cosiddetto “blocco di linkage” esistente tra i geni che determinano il nanismo (gene Rht8) e l’insensibilità al fotoperiodo (gene PpdD1), ossia la caratteristica, direttamente legata alla precocità, che consente alle piante di maturare indipendentemente dalla durata dell’esposizione stagionale alla luce. Questi frumenti, che in alcuni contesti pedoclimatici riuscivano addirittura a far quintuplicare le rese rispetto alle varietà tradizionali, furono gli stessi che prenderanno retoricamente il nome di “Grani della Vittoria” e che consentiranno al regime fascista, salito al potere proprio negli anni in cui Strampelli cominciava a diffondere le sue creazioni, di vincere quella iniziativa, a metà strada tra la sperimentazione agraria e l’azione di propaganda, nota come “Battaglia del grano”. Strampelli, più per tutelare l’avanzamento della propria attività scientifica che non per autentica simpatia nei confronti del regime, s’iscrisse al Partito Nazionale Fascista nel settembre del 1925, due mesi dopo il lancio della “Battaglia del grano”. Nel 1929 farà seguito la nomina a senatore (per meriti scientifici), che il genetista cercherà inizialmente di rifiutare dichiarandosi «assolutamente negato alla funzione di deputato». Nel 1933, dichiarata vinta la “Battaglia del grano” (grazie ai frumenti di Strampelli l’Italia era infatti diventata autosufficiente nella produzione del cereale), il regime gli tributò onoranze nazionali, consacrandolo per quello che lo scienziato sarà poi considerato per decenni dopo la sua morte: un “uomo di regime”.
Un’etichetta che peserà moltissimo sul nome e sul ricordo di Strampelli, contribuendo enormemente a sbiadire la memoria dell’impresa scientifica di cui egli fu protagonista, complice anche la trasformazione da paese agricolo a potenza industriale che caratterizzerà l’Italia dal dopoguerra in avanti. Solo negli anni Novanta il nome e il significato dell’opera di Strampelli iniziarono a riemergere, grazie all’azione di propaganda scientifica che mossero a suo favore alcuni agronomi del John Innes Centre di Norwich (Gran Bretagna); questi, studiando la genetica del nanismo e della precocità di maturazione del grano, si accorsero che un numero spropositato di varietà coltivate in tutto il mondo (le stime variano dal 60 all’80 per cento) presentavano come ascendente, nel proprio albero genealogico, almeno una varietà di grano costituita dal genetista italiano. In particolare, è il “Mentana”, rilasciato da Strampelli nel 1924, che compare nei pedigree delle principali varietà di frumento costituite a partire dal secondo dopoguerra in paesi come Russia, Cina, Argentina, ma anche Canada, Stati Uniti, Australia e persino il Messico, il paese dal quale la “Green Revolution” di Norman Borlaug ha mosso i suoi primi passi per poi estendersi in tutto il mondo. In particolare, si scoprì che i grani ad alta resa di Borlaug, grazie ai quali l’agronomo americano aveva conseguito fama mondiale e modificato radicalmente l’agricoltura del pianeta, erano tutti discendenti del “Mentana”, oppure di varietà ibride (come il “Frontana” e il “Kentana”) da esso direttamente ricavate, che Borlaug aveva ampiamente usato per trasferire nelle sue “High Yielding Varieties” la resistenza alle ruggini e, in modo inizialmente non desiderato, l’insensibilità al fotoperiodo, grazie alla quale i frumenti del futuro premio Nobel potevano essere coltivati entro un’ampia fascia di latitudine. Questa caratteristica, che Borlaug ha ammesso di aver individuato nelle sue varietà solo in un secondo tempo, è controllata da uno specifico allele del gene Ppd-D1 la cui origine è proprio nel frumento “Akakomugi” impiegato da Strampelli per la prima volta nel 1913. Il genetista italiano, dunque, riuscì a comprendere e sfruttare in modo mirato le basi ereditarie della precocità, a differenza di Borlaug il quale, invece, agli inizi della sua attività sperimentale riteneva questa caratteristica difficile da gestire per via delle scarse conoscenze che si avevano circa il suo controllo genetico.
Strampelli, artefice della piccola ma fondamentale rivoluzione granaria italiana, alla luce di quanto è stato dimostrato negli ultimi quindici anni può dunque essere considerato come il precursore della “Rivoluzione verde”. Ma non finisce qui. Gli agronomi attualmente impegnati nel moderno breeding del frumento resistente ai nuovi ceppi di ruggine (come il temibile Ug99, responsabile di enormi danni alla produzione del cereale in molti paesi emergenti di Africa e Asia), fondano le loro speranze sul potenziamento di un allele del gene di resistenza Lr34, dimostratosi fondamentale nello svolgere il ruolo di “direttore d’orchestra” nella risposta della pianta verso il temibile parassita. Ebbene, nel 2008 un gruppo di ricerca internazionale, composto in prevalenza da scienziati statunitensi ed australiani, ha dimostrato che anche questo allele discende dal “Mentana” di Strampelli (si tratterebbe del gene di resistenza posseduto dal già menzionato frumento “Rieti”). L’allele funziona impeccabilmente da quasi un secolo e, incredibile ma vero, non sembrano esistere altri geni in grado di controllare, nello stesso modo di Lr34, la risposta all’attacco dei parassiti che va sotto il nome di “resistenza durevole”, una forma di resistenza molto ricercata ed apprezzata dai miglioratori di tutto il mondo in quanto, rispetto alla resistenza specifica, non favorisce lo sviluppo di meccanismi di reazione efficaci da parte dell’agente patogeno. È emozionante sapere che il pane che troveremo domani sulla nostra tavola sarà stato fatto con frumento quasi sicuramente straniero, ma avente ancora in sé qualcosa di “italiano”: non solo i geni del “Mentana”, ma anche la passione e la tenacia di un uomo che ha saputo guardare lontano e prima di molti altri.
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VUOI SAPERNE DI PIU’ SUL GENIO DI NAZARENO STRAMPELLI? LEGGI L’ARTICOLO DI SERGIO SALVI E ORIANA PORFIRI DA STORIA IN RETE N. 60
E NON DIMENTICARE DI VOTARE NAZARENO STRAMPELLI FRA I “GRANDI ITALIANI” DEL SONDAGGIO DI STORIA IN RETE!!