C’é forse un inedito capitolo sovietico nella vita di Marilyn Monroe: nel 1960 avrebbe lasciato improvvisamente il set del film hollywoodiano “Facciamo l’amore” per visitare la patria dell’amato Dostoevskij, invitata da un agente del Kgb conosciuto casualmente in Usa. E’ quest’ultimo a rivelare “il segreto moscovita” della celebre attrice, come titola oggi il tabloid Moskovski Komsomolets. Una confessione utilizzata dalla regista Liudimila Tiemnova per un documentario di prossima uscita, intitolato “Monroe nel Paese di Dostoevskij”.
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di Claudio Salvalaggio da ANSA del 13 marzo 2012
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L’ex agente segreto, che lavorava con la copertura diplomatica nella rappresentanza diplomatica sovietica presso l’Onu, si è convinto con difficoltà a farsi filmare, ma ha preteso che non fossero svelate le sue vere generalità. La regista sostiene che circolavano già voci di una visita di Marilyn a Mosca e che il Kgb, interessato all’attrice per le sue frequentazioni di alto livello, l’aveva schedata nei suoi archivi con il nome in codice ‘Masha’. Krusciov, aggiunge, la chiamava “compagna Monroe” e voleva farla arrivare a Mosca. Pare, secondo l’autrice del documentario, che le autorità volessero farle anche girare un film in Russia, ma che poi abbiano rinunciato a causa della sua imprevedibilità. L’ex agente del Kgb racconta di averla conosciuta casualmente in un ricevimento all’ambasciata dell’Urss in occasione di una visita di Krusciov in Usa. Ne nacque un’amicizia che “poi si trasformò in un certo sentimento”, narra.
Dopo aver informato i suoi superiori, la continuò a frequentare, fece con lei lunghe passeggiate “romantiche” in cui l’attrice gli avrebbe parlato del suo amore per le opere di Dostoevskij e del suo desiderio di visitare la patria del grande scrittore. Il suo sogno, sostiene, era interpretare la bellissima Grushenka, la donna oggetto di rivalità tra padre e figlio nel romanzo I Fratelli Karamazov. Marilyn avrebbe abbandonato le riprese del film ‘Facciamo l’amoré di George Cukor per due settimane visitando in quel periodo Mosca, accettando con piacere l’invito dell’amico, che agiva d’intesa con le massime autorità sovietiche. “Se arrivò in incognito? Se lo immagina durante la Cortina di ferro?”, spiega l’ex agente segreto, assicurando che la Monroe entrò in Urss grazie ad un visto dove era riportato il suo vero nome (Norma Jeane Baker). Lui aveva 27 anni, lei 33. Andò a prenderla all’aeroporto e la fece alloggiare all’hotel National in una stanza con vista sul Cremlino, scarrozzandola poi dove voleva: nella metro, al museo di Dostoevskij. I moscoviti non la riconobbero: non l’avevano mai vista in uno dei suoi film (‘A qualcuno piace caldò arrivò solo nel 1966). L’ex agente del Kgb ricorda di aver ospitato la star per due giorni nella dacia di famiglia.
“Furono due giorni indimenticabili”, assicura, anche se non successe nulla. “Si sentiva una certa tensione nei nostri rapporti, ci rendevano conto che il fatto di essere solo noi due non significava che nessun altro ci vedesse e ci sentisse”, spiega, alludendo alla presenza di videocamere e ‘cimici’. “Mi dispiace, Marilyn forse si aspettava altre parole, la continuazione del nostro rapporto, ma era impossibile a causa della mia attività e della situazione creatasi”, ammette. Dopo il ritorno della diva in Usa, non la rividé più. E da allora non fu più mandato all’estero. Ha saputo che lei inviò alcune lettere in Urss, ma dice di non averne mai ricevute. “Non posso dimenticarla, forse la ricorderò sino alla fine della mia vita”, è il suo epilogo di questa incredibile – e tutta da verificare – storia d’amore mancata.
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