Un titolo volutamente provocatorio per affrontare il tema del grottesco in “M – Il figlio del secolo”, la serie Sky dal romanzo di Scurati. Tutti concordano sul grottesco, anche se non tutti lo apprezzano (Cfr. Cazzullo, D’Agostino, Travaglio, Carioti). Altri termini usati sono allegorico, satirico, o di onirico (e specialmente l’inizio della puntata con i cavalli nella nebbia sarebbe un ottimo esempio).
Ma in merito a “M – Il figlio del secolo” si parla anche di farsa, di parodia. Elemento farsa che in alcuni punti prevale su tutto il resto. E analizzando come in alcuni episodi il crescendo della storia sia più nel susseguirsi di scene simili a sketch comici, che alla Storia in sé, forse la chiave di lettura per la serie è un altra. Quella di un cinepanettone.
Quarto episodio: la marcia su Roma
Se nei primi episodi il grottesco è relativamente bilanciato (ma non chiedetelo a Marinetti) nello svolgersi della Storia e dei suoi drammi, il quarto episodio cambia decisamente registro. Si racconta della marcia su Roma e nonostante sia uno dei punti cardine del dramma dell’avvento del Fascismo, nello sviluppo degli otto episodi secondo solo al delitto Matteotti, a farla da padrone sono le gag.
Mettendo da parte per un attimo la Storia (a differenza degli articoli precedenti su Marinetti e D’Annunzio), e concentrandoci sulla sceneggiatura, vedremo come il grottesco sia ben lontano da quello di una satira pure farsesca come La marcia su Roma di Dino Risi. Bensì appaia più simile al crescendo di gag fine a sé stesse di molto cinema italiano dagli anni ’80 in poi.
Il quarto episodio inizia come prosieguo del finale del terzo episodio. Qui l’omicidio di Federico Guglielmo Florio (capo dello squadrismo a Prato, e figura assolutamente marginale, ma sì è detto di lasciare perdere la Storia e limitarsi alla trama) ha prestato il fianco a Italo Balbo per mettere a ferro e fuoco le campagne.
Primo momento comico
Questo mentre Mussolini è in trattativa per le poltrone del prossimo governo. Il quarto episodio inizia con Mussolini che chiama Balbo per una lavata di capo, lamentando come la violenza scatenata dal ferrarese abbia fatto crollare le chance di ministeri e sottosegretari per i fascisti.
Lavata di capo interrotta dagli ingressi di Cesare Rossi con nuovi dispacci e da Balbo che definisce la sua strategia mentre si fa una striscia di cocaina. I dispacci di Rossi prima dipingono la situazione sempre più negativa per i fascisti. Addirittura si parla di un governo Facta con i socialisti.
Poi arrivano le voci di uno sciopero socialista, e, improvvisamente, le prospettive si riequilibrano. Fino a far tornare i fascisti prepotentemente in lizza per la coalizione di governo. Insomma Mussolini può ripetere a Balbo le parole che il ferrarese aveva pronunciato poco prima rivendicando la scelta della violenza contro i socialisti.
Scena divertente ottimamente recitata e montata. Ennesima dimostrazione di come Mussolini sia abile solo a sfruttare le idee altrui a posteriori. Ma anche una scena che rimanda idealmente a tante gag simili del cinema italiano. Come quello de il commissario Auricchio di Lino Banfi che ruba le idee ai sottoposti in Fracchia la belva umana. Ma si è detto che la cifra è il grottesco, e questo è obbiettivamente un incipit fulminante.
Anche se appare evidente come l’incipit comico annulli completamente l’atmosfera di dramma del finale del terzo episodio. Con le violenze di Florio prima e la vendetta di Balbo poi. Vendetta accompagnata non dal Zang Tumb Tumb marinettiano, ma dal Presente! riferito proprio a Florio.
La cifra grottesca è una scelta voluta. Ma qui oscura l’elemento del dramma.
Tutto un bluff
Nella serie appare evidente che Mussolini giochi la carta della marcia su Roma come elemento di trattativa con Facta, ma ha troppa paura delle conseguenze di un vero scontro. È convito di tenere a freno i suoi cani rabbiosi, cosa che non gli è mai riuscita (e il terzo episodio era incentrato proprio su questo).
Nell’ultimo giorno di trattativa Mussolini se ne va a teatro con Margherita Sarfatti. A teatro si porta dietro due valigioni per un’eventuale fuga in Svizzera qualora la scommessa della marcia su Roma fallisca. A quel punto entra in scena Cesare Rossi che appare quasi come un fantasma sul palco della coppia. Sembra Lurch della famiglia Addams quando spaventa gli ospiti.
Cesare Rossi al solito porta cattive notizie: gli squadristi comandati da Volpi hanno iniziato a far strage di soldati del Regio Esercito. L’entrata in scena è magistrale e inizia una nuova gag. Né Margherita Sarfatti né Cesare Rossi sanno del piano della fuga in Svizzera. Sembrano i due amici/amanti traditi dal protagonista in un vecchio Cinepanettone.
Rossi: «Era quello il piano?»
Mussolini: «Il piano era far salire la tensione, far accettare le nostre richieste, ma non andare allo scontro!»
Rossi: «Ah Ah… e dove»
Sarfatti: «In Svizzera»
Rossi: «Te volevi fuggire in Svizzera!»
Mussolini: «Soltanto se le cose si fossero messe veramente male, Cesarino…»
Sarfatti: «La Svizzera è così crepuscolare, per niente futurista!»
Mussolini: «Ma che cosa dici, ma cosa dici, che Lenin la rivoluzione bolscevica l’ha progettata da lì in esilio»
Rossi: «Te hai dato il comando a quei tre perché la colpa ricadesse su di loro.»
Mussolini: «Se cado io il fascismo muore!»
Sarfatti: «Non se si cade con onore.»
Mussolini: «Non si doveva cadere, non si doveva cadere! Era un bluff, lo volete capire un bluff una messinscena»
Rossi: «Benito, te stavi partendo senza di me.»
Mussolini: «Ma poi sarei tornato a prenderti.»
Crepuscolare e poco futurista
Scambio di battute che ha per chiusa nuovamente Margherita Sarfatti che ribadisce come la Svizzera sia crepuscolare e poco futurista. Altro momento magistralmente diretto e interpretato e con ottimi tempi comici. Un modo per stemperare la tensione ed esaltare, nuovamente, il grottesco del pavido Mussolini?
Anche, e ancora è un approccio che possiamo prendere per buono e riuscito. Ma da questo punto in poi si scivola in un crescendo di gag anche grossolane.
La sequenza successiva sono i triumviri De Vecchi, De Bono e Balbo a Perugia. De Vecchi e De Bono temono il peggio e tentennano. Balbo gioca la carta della scena madre contro il Regio Esercito. Portare gli squadristi a una “pisciata in compagnia” di fronte ai militari appostati.
E non c’è solo la sottile (eufimisticamente) trovata nella costruzione della scena. No c’è anche l’ufficiale in comando del Regio Esercito che esclama: «Come facciamo a sparare con gente con il cazzo di fuori che ci piscia addosso!»
Sempre grande cinema nella costruzione della scena, ma qui non è più grottesco, né farsa satirica. Qui siamo in piena atmosfera da cinepanettone. E di lì a poco il quarto episodio ci regala un altro uno-due comico.
Vittorio Emanuele III e Facta
Dopo una brevissima sequenza con Mussolini, Rossi e Sarfatti assediati a Il popolo d’Italia si passa a un botta e risposta tra Vittorio Emanuele III e Facta, con un paio di momenti comici ben piazzati. Sia sul giovane Umberto di Savoia (dovrebbe essere diciottenne ma sembra un ragazzino), di cui Vittorio Emanuele III dubita della paternità. E poi gli appellativi “reali” con cui Facta si rivolge al re.
Ecco lo scambio di battute tra Vittorio Emanuele III e Facta:
«Fare il re di questo paese è il lavoro più ingrato del mondo! E se mi dimettessi anch’io?»
«Maestà un re non si può dimettere!»
«Posso abdicare!»
«E lasciare nei guai vostro figlio…»
«Guarda quant’è alto! A volte mi chiedo da chi abbia preso…»
«Vostra altezza…»
«Che fa Facta? Sfotte?»
«Al contrario, sire. io credo che voi siate l’ultimo pilastro…»
«Ancora?»
L’incubo di Vittorio Emanuele III
Ma anche questo non è l’apice. Vittorio Emanuele III è un personaggio ancora più buffonesco di Marinetti e ci concede un’ultima perla. Mentre il re tenta ancora una volta di firmare lo stato d’assedio, immagina che al Quirinale stiano arrivando gli squadristi. Balbo, Dumini e Forni sfoderano i manganelli per i corridoi dell’allora palazzo reale. Ma è solo un’incubo: è solo la regina Elena che viene a chiamare il re ancora in piedi.
Anche qui, presa singolarmente, è una sequenza divertente è ben riuscita. Il problema è che nell’episodio alla fine si realizza un’escalation di momenti comici.
Di questo quarto episodio resta solo l’intrattenimento (la filosofia dell’infotaiment per dirla come Giannuli nel video che ha dedicato alla serie Sky) è non c’è spazio per la satira amara di un La marcia su Roma. Film del 1962 che aveva sempre una chiave di lettura tra la satira e la farsa, ma almeno cercava l’elemento morale nei singoli momenti comici.
Dino Risi e un altro modo di fare comicità sul fascismo
Vedi la scena dell’olio di ricino al giudice, che si versa da lui l’olio di ricino, brindando con il vermouth offerto ai due squadristi Gassman e Tognazzi. O il continuo riferimento al programma del PNF e lo squadrizza Gavazza, Tognazzi, che man mano cancella i punti mentre si avvicinano a Roma.
De La marcia su Roma, a distanza di più di sessant’anni restano quei momenti e il loro ammonimento. Di M – Il figlio del secolo invece probabilmente ricorderemo l’ufficiale del Regio Esercito che si domanda: «Come facciamo a sparare con gente con il cazzo di fuori che ci piscia addosso!»
Un paio di video per approfondire
Per chi volesse approfondire segnaliamo due video su YouTube. Nel primo si affrontano gli “aspetti storici” e l’elemento comico. Nel secondo si raffronta M – Il figlio del secolo, con l’immaginario cinematografico postbellico su Mussolini.