«Voglio una vita spericolata, / voglio una vita come quelle dei film. Voglio una vita esagerata, / voglio una vita alla Steve McQueen», cantava il giovane Vasco Rossi scandalizzando un po’. Non c’ è che dire: c’ è chi i guai se li cerca, per vocazione, per gusto matto di mettersi nei pasticci, perché gli piace da morire il «vivere pericolosamente» caro a Friedrich Nietzsche e anche al sovversivo Benito Mussolini. Insomma, c’ è chi nasce con la voglia dell’ avventura.
di Mario Bernardi Guardi da “Libero Quotidiano” del 17 ottobre 2016
Come Albert Spaggiari (1932-1989), ex paracadutista in Indocina ed ex militante dell’ OAS (Organisation Armée Secrète) e di fascio-gruppuscoli in ordine sparso, che proprio non ce la fa a vivere da bravo borghesuccio e che nel luglio del 1976 mette a segno il «colpo del secolo», scassinando la filiale nizzarda della importante banca francese Société Générale, situata nella centralissima avenue Jean Médecin.
E siccome il Nostro non aveva soltanto uno stile nel rubare, ma scriveva proprio come comanda il Dio degli sregolati di genio, ecco che, tra le soste in carcere e i vagabondaggi, sentiva l’ impulso irrefrenabile di mettere nero su bianco le sue avventure, tutte all’ insegna di una irriverente ribalderia.
Così come era avvenuto per la famosa rapina. Raccontata in tutte le sue sequenze, e con una prosa diretta e rapida, avvincente e beffarda, ne “Le fogne del Paradiso. Nizza 1976: la rapina del secolo” (traduzione di Jacopo Ricciardi, a cura di Carlos D’ Ercole, postfazione di Tomaso Staiti di Cuddia, con una nota di Stenio Solinas, OAKS Editrice, pp. 223, euro 18). Libro che sarà presentato il 20 ottobre a Milano presso la Libreria Verso (corso di Porta Ticinese 40) da Solinas, Staiti di Cuddia e Massimo Fini).
Il rapporto tra le fogne e il Paradiso è davvero stretto visto che, lavorando per più di un mese in mezzo ai topi e alla merda della “pancia” nizzarda, Albert e i suoi compagni – un vero campionario di stramaledetta e simpatica umanità – riescono a scavare un cunicolo, penetrano nel caveau della Societé Générale, forzano le cassette di sicurezza e si portano via un bottino di soldi e gioielli per il valore attuale di 30 milioni di euro. Al danno si aggiunge la beffa: sul muro gli scassinatori lasciano scritto: «Senza odio, senza violenza, senza armi». È la firma (e lo stile) di Albert Spaggiari, uno che proprio non ce la faceva, dopo le esperienze nell’OAS e la militanza nera, a condurre una vita placida e sonnacchiosa, arrangiandosi alla meglio.
Con il suo carico di precedenti penali per rissa e reati politici, come avrebbe potuto accontentarsi di svolgere la desolante attività di fotografo di matrimoni?
Andiamo dunque all’arrembaggio della Societé! Con la collaborazione dell’ onorata società dei Marsigliesi. Insomma, un colpo memorabile (lo ha raccontato anche Giorgio Ballario in “Vita spericolata di Albert Spaggiari”, Idrovolante Edizioni, pp. 260, euro 15, finalista al Premio Acqui Storia 2016).
La «vita spericolata» durerà per altri 13 anni tra arresti, evasioni rocambolesche (saltando dalla finestra dell’ ufficio del giudice presso il quale era stato portato per l’ interrogatorio settimanale), una lunga latitanza tra Italia, Spagna, Sudamerica, mentre le istituzioni gabbate strepitano furiosamente e i mass media partoriscono fragorosi scoop sulle complicità tra criminalità politica e criminalità comune. Nel giugno del 1989, Albert prende congedo dalla sua vita esagerata per un cancro alla gola. Davvero un tipaccio. Davvero un bel tipo.