Come in tutte le guerre, lo stupro è stato più volte utilizzato contro le popolazioni in Algeria, in particolare dai militari francesi. Da circa vent’anni stanno emergendo testimonianze che rivelano la portata di un crimine rimasto a lungo tabù.
Di Véronique Pierron da Geo.fr del 14 settembre 2025 – traduzione SiR
L’effetto di una bomba. La confessione di Louisette Ighilahriz, sulle pagine del quotidiano Le Monde, nel 2000, ha suscitato grande emozione a livello nazionale. Arrestata nel 1957 e torturata nel quartier generale della 10a divisione paracadutisti del generale Massu, ad Algeri, questa ex indipendentista algerina del FLN – che all’epoca aveva 20 anni – confessò di aver subito numerosi stupri. “Ero sdraiata nuda. Potevano venire una, due o tre volte al giorno”. Sconvolta, la Francia si interrogò allora sul tema degli stupri commessi durante la guerra d’Algeria.
Violenza e silenzio
Perché Louisette, ovviamente, non era l’unica. Da allora altre donne hanno testimoniato. Donne doppiamente vittime perché violentate dai soldati francesi e poi emarginate dalla società algerina, per la quale lo stupro è considerato un disonore. È stato il caso di Toumia Laribi, alias Baya el-Kahla, ex membro del FLN-ALN (Fronte di liberazione nazionale-Esercito di liberazione nazionale). Arrestata nel 1956, subì un stupro di gruppo da parte dei paracadutisti nel palazzo Klein, ad Algeri. Poi fu violentata dal loro capitano, Jean Graziani, già carnefice di Louisette. “Lo stupro corrisponde a una pratica di repressione, utilizzata sia come mezzo per ottenere informazioni che per terrorizzare la popolazione”, spiega lo storico Tramor Quemeneur, responsabile della memoria coloniale e della guerra d’Algeria all’Eliseo e autore di Vivre en Algérie (ed. Nouveau Monde, 2022).
Nell’ex colonia, lo stupro – commesso sia su uomini che su donne – divenne un’arma di guerra. Alle torture della “gégène” (generatore elettrico utilizzato come strumento di tortura), dell’annegamento in una vasca da bagno e dell’impiccagione, si aggiunse quella detta “della bottiglia”. Una tortura che consisteva nel far sedere la vittima nuda su un collo di bottiglia, mentre i soldati premevano con tutta la loro forza sulle sue spalle… Contattata, la storica Claire Mauss-Copeaux, autrice di Hadjira, la ferme Ameziane et au-delà… (ed. Les Chemins du présent, 2017), evoca due foto scattate a Costantina nel 1957. Nella prima, un uomo prima dello stupro. Nella seconda, lo stesso uomo dopo… “Si vede ancora un soldato che tiene la bottiglia”, sospira. E che dire di quei cani addestrati a violentare i prigionieri, come nel sordido campo di Ksar Ettir, vicino a Sétif…
A partire dal 1957, gli stupri divennero massicci…
Gli stupri perpetrati dai militari francesi divennero massicci dopo la concessione, nel 1957, dei pieni poteri ai paracadutisti del generale Massu, e si intensificarono durante le operazioni del piano Challe (1959-1960) volte a sradicare l’Armata di liberazione nazionale (ALN). Oltre alle aggressioni sessuali nei centri di interrogatorio, come nella villa Sésini ad Algeri, era una pratica comune durante le operazioni condotte nei villaggi. “Una mattina ho ricevuto una foto scattata da un paracadutista nel 1957”, racconta Claire Mauss-Copeaux. Si vedeva un militare con in braccio un cignetto. Dietro l’immagine c’era una didascalia: “Il sergente accarezza le cicogne e violenta le moukères” [termine dispregiativo per indicare le donne magrebine]. Mi ha fatto venire i brividi”. Non appena veniva avviata un’indagine per stupro, i gendarmi concludevano che non sussistevano gli estremi del reato. “Questi casi venivano tutti insabbiati”, sottolinea la storica. In uno di essi, un ufficiale che aveva denunciato dei soldati stupratori è stato persino accusato di falsa testimonianza”.

Come rompere allora questa omertà? In Francia, alcuni studiosi universitari di origine algerina stanno ora studiando l’argomento, come Ghania Mehalla che nel 2022 ha dedicato la sua tesi di laurea magistrale all’Università Paris-VIII a un’indagine sulle violenze sessuali commesse durante la guerra nella sua regione natale della Grande Kabylie. In particolare nei villaggi di Mira e Abizar, vicino a Tizi Ouzou. “Le donne hanno accettato di parlarmi perché mi conoscevano”, spiega. Quando si trattava di parlare concretamente di questi stupri, mi raccontavano la storia di “un’altra donna”, ma era la loro, perché ancora oggi, in Algeria, una donna violentata porta disonore alla famiglia”.
Niente fermava questi uomini
Per disgustare i paracadutisti, le donne algerine si coprivano il viso con escrementi. Ma nulla fermava gli stupratori. Ghania Mehalla racconta il caso di una giovane donna, rimasta incinta a seguito di uno stupro, che ha soffocato il suo bambino alla nascita. “Se il bambino non esiste, lo stupro non esiste”, spiega. Dopo la guerra, alcuni militari hanno cercato di testimoniare per liberarsi la coscienza. Invano. Queste violenze non interessavano più a nessuno. Bisognava dimenticare l’Algeria. Gli stupri durante il conflitto algerino sono stati commessi solo dall’esercito francese? Cosa si sa di quelli commessi dagli algerini sui harkis o sugli europei? “Sono meno documentati”, sottolinea Claire Mauss-Copeaux. Da un lato, perché il governo algerino ha sempre rifiutato di aprire il dossier degli stupri, che rimangono un tabù. Dall’altro, perché alcuni racconti dei pieds-noirs si sono rivelati falsi, come il caso delle donne incinte sventrate durante i massacri del 20 agosto 1955 nella regione di Costantina.

E anche perché, conclude Tramor Quemeneur, “per l’Algeria, tornare su questa guerra significa anche interrogarsi sulla propria storia… e in particolare sulla guerra civile che, a partire dal 1991, è stata teatro di innumerevoli stupri”. Il tabù è quindi lungi dall’essere infranto.