Dalle trincee della primo conflitto mondiale all’opposizione in patria, agli scontri di piazza contro i socialcomunisti
Di Manlio Triggiani da Il Barbadillo del 31 Gennaio 2021
“Squadrista” è un sostantivo che, negli ultimi decenni, ha assunto un significato negativo, quando non spregiativo. Violento, criminale, antidemocratico, questa è l’accezione alla quale il politicamente corretto dei nostri giorni si riferisce. Adesso Pierluigi Romeo di Colloredo, storico militare, autore di vari volumi di storia, ha dato alle stampe un’opera che chiarisce il senso delle squadre d’azione, il richiamo alla violenza come parte di un processo rivoluzionario, esattamente come facevano i socialisti con gli Arditi del popolo o Guardie rosse. Una scelta che, per i capi della Rivoluzione fascista, derivava dalla concezione della violenza mediata da Georges Sorel, in una dinamica di difesa e di offesa nello stesso tempo. Da non dimenticare, come di Colloredo ben illustra nel suo libro, che a partire dalla fine del 1918 molti militari reduci della guerra mondiale tornati alla vita civile non trovarono lavoro. Molti di loro avevano militato negli Arditi, gruppi d’élite e, nonostante avessero combattuto per tre anni di fila ed esser stati protagonisti delle azioni di guerra più pericolose, e il corpo che aveva pagato il prezzo più alto in termini di perdite, non vedeva riconosciuto alcun diritto. Niente lavoro, con tanto rancore per la “borghesia pantofolaia” che spesso aveva mandato al fronte, in prima linea, i figli del popolo. Gli arditi rivendicavano la necessità di rifare l’Italia. Loro, nazionalisti, interventisti, trovarono al ritorno i sindacati di sinistra e il Partito socialista che spadroneggiava, che istigava a irridere e attaccare fisicamente militari e arditi nelle strade delle città.
Questi uomini in maniera più o meno spontanea cominciarono a organizzarsi, in varie città italiane, e a reagire alla violenza della quale erano bersaglio. Il Partito socialista era in forte ascesa e si affermava sempre più sul territorio. Nazionalisti, reduci di guerra, fra i quali arditi, futuristi, ed elementi del Fascio di difesa nazionale, iniziarono a opporsi con violenza alla violenza socialista. Si scatenò una guerra civile a bassa intensità con centinaia di vittime da una parte e dall’altra. Secondo alcuni studi, si è calcolato che alla fine del biennio rosso (1919-1920) i morti in attentati, agguati, scontri di piazza, aggressioni furono circa 500 fra i socialcomunisti e altrettanti, all’incirca, fra i fascisti. Nel 1919, quasi tutti gli arditi aderirono al movimento fascista che si organizzò in fasci di combattimento. Si sa bene come andò a finire: gli squadristi ebbero un ruolo rilevante nell’affermazione del movimento che divenne partito e conquistò il potere. Lo squadrismo aveva due differenti caratterizzazioni: squadrismo agrario, più di destra, reazionario, sostenuto dagli imprenditori agrari e lo squadrismo cittadino che lottava nelle strade per contendere la supremazia sui socialisti.
Le azioni degli squadristi avevano due scopi: contrastare duramente le iniziative della sinistra distruggendo sedi, redazioni di giornali, attaccare manifestazioni e, di conseguenza, ostacolare l’affermazione del bolscevismo, che avrebbe portato l’Italia sotto un giogo dittatoriale senza sbocco, come era avvenuto in Russia. Quindi, era anche una risposta alle continue violenze e scioperi organizzati dai socialisti, dai comunisti e dagli anarchici e per affermare i valori nazionalistici attaccati dalla sovversione. Lo scopo era di tutelare il sacrificio fatto in una guerra combattuta per tre anni con oltre seicentomila militari italiani morti, compagni d’arme che il Partito socialista vilipendeva.
Gli squadristi riscossero il consenso della borghesia conservatrice e dei popolari che finirono per ritenere che il fascismo fosse uno strumento utile per contenere le iniziative delle organizzazioni politiche e sindacali socialiste e per spingere il governo a sostenere le classi possidenti e a non essere neutrale nei conflitti sindacali, come in precedenza l’esecutivo giolittiano aveva fatto. Esempio di questa simpatia dei popolari è una loro dichiarazione attribuita ad Alcide De Gasperi che affermò, il 7 aprile del 1921: “Non condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle azioni in cui la violenza, anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè legittima”. Anche Gaetano Salvemini, schierato più a sinistra rispetto a De Gasperi, dette una giustificazione dello squadrismo sebbene nell’ambito di una lettura di sinistra, sostenendo che “foraggiando i fascisti, gli industriali, i proprietari terrieri e i banchieri non compivano nessuna azione che esorbitasse dai loro diritti. Il capitale, come il lavoro, è una forza sociale, ed era naturale che i capitalisti fornissero fondi alle loro ‘guardie bianche’, così come gli operai e i contadini contribuivano a mantenere i loro propagandisti e i loro organizzatori. Persino gli atti di violenza commessi dai fascisti nei primissimi mesi della loro controffensiva – prosegue la dichiarazione – possono considerarsi con una certa indulgenza. Dato che polizia e magistratura erano impotenti nella difesa dei privati cittadini contro la forza preponderante dei sindacati e del loro arbitrio, era ben giustificato che tali cittadini cercassero di difendersi per mezzo di metodi illegali”. E Salvemini concluse rimarcando che “La verità è che sia da una parte che dall’altra vi furono aggressori e aggrediti, assassini e vittime, imboscate e assalti su terreno aperto, atti di coraggio e di tradimento; ma i fascisti, sostenuti economicamente da industriali, proprietari terrieri e commercianti, e politicamente da polizia, magistratura e autorità militari, godettero di una forza schiacciante”.
Dopo la conquista del potere gli squadristi volevano che l’istanza rivoluzionaria proseguisse, come fosse una sorta di “rivoluzione permanente” ma Mussolini per mettere a tacere questa voce dissidente fondò la Milizia volontaria sicurezza nazionale (MVSN) dove inquadrò gli squadristi per poterli meglio controllare.
Di Colloredo ha scritto questo libro sugli uomini che nel nome del fascismo e della giovinezza furono un argine efficace alla rivoluzione bolscevica. Scritto con taglio discorsivo, è una storia imparziale. Dello squadrismo vengono analizzati alcuni aspetti come, a esempio, i legami fra interventismo, reduci squadristi e nascita del movimento fascista; alcuni episodi del biennio rosso come l’eccidio di Sarzana, l’assalto all’hotel Balkan a Trieste, la devastazione dell’ Avanti a Milano nel 1919, l’assalto all’Oltretorrente di Parma, lo stillicidio dei caduti, poi proclamati Martiri, e altri episodi. Chiude il volume una serie di inni e cantate squadristiche, importanti non certo per comprendere i fatti del biennio rosso, ma utili per capire che lo squadrismo era “uno stato d’animo” per approcciare la vita e il destino sbeffeggiando la morte, richiamandosi al cameratismo vivo dai tempi della trincea, al vivere pericolosamente, alla ribellione contro le forze dell’ordine come contro i socialisti fino a onorare tutta una liturgia incarnata da quei giovani. Per l’Italia, per la vittoria.