Lo schiavismo nel Mediterraneo: nessuno è senza colpe e tutti sono state vittime

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Per secoli, lungo le coste del Mediterraneo (ma non solo lungo le coste) la vita poteva cambiare in un lampo, subito dopo l’apparire all’orizzonte di una vela, di molte vele: «… ritenute le Donne più belle, divisi i putti in bottino, li abili alla Galera, et i vecchi, femine e bambinj reimbarcò nuovamente. Al seguir questa crudele inaspettata separazione, l’orrore del fatto scosse tutto quel popolo, e doppo un rauco mormorio d’impetuoso sfogo improvviso prorupper con funesti sospiri in un dirotto pianto singulto, strugendo il Padre lasciar schiavo il Figliolo, la Madre, Fratelli, così la Moglie separar dal Marito». Fra il Rinascimento e l’età napoleonica, in Europa e nei paesi mediterranei la schiavitù ha riguardato sei-sette milioni di persone. E tutti potevano diventare lo schiavo di chiunque: neri africani, turchi, arabi, italiani, spagnoli, portoghesi, francesi, ma anche greci, ebrei, slavi, magiari, e persino ucraini, moscoviti, tedeschi, inglesi, olandesi, scandinavi. Una storia che Salvatore Bono (professore emerito dell’Università di Perugia, dove ha insegnato storia del Mediterraneo) racconta in “Schiavi” (Il Mulino, pp. 488, € 15,00). Attingendo a una ricchissima documentazione, questo libro narra la loro storia, dagli scontri e dalle catture per mare e per terra alla presenza di schiavi e schiave nella vita domestica e in quella pubblica, in Europa come sull’altra sponda del Mediterraneo: costretti al remo o ad altre fatiche sulle navi, sfruttati in cantieri e miniere, ma anche impegnati in proprio come barbieri, sarti, gestori di botteghe; oppure, in un rapporto che non escludeva l’affetto, servitori, governanti, concubine. Una storia in larga parte dimenticata che queste pagine riportano con efficacia in vita sotto gli occhi del lettore.

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