Lezioni dal Giappone: la riscoperta della nobiltà della sconfitta

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Sconfitti ma fieri”. Questo, tra i princìpi cardine della cultura giapponese, è forse quello che l’Occidente ha fatto più fatica a recepire, ad accettare come valore fondante di una dignità del vivere che prescinda dalla enfatizzazione degli esiti dell’azione per esaltarne invece i mezzi di abnegazione e coraggio usati per tentare. L’idea del “glorioso fallimento” è poco aderente al pensiero e  al sentimento occidentali.

In “La nobiltà della sconfitta” (Medhelan, pp. 504, € 28,00), un classico sulla cultura giapponese che torna ora in libreria dopo anni di oblio, Ivan Morris (1925-1976), giornalista e orientalista nato a Londra ma di origini americane che ha dedicato numerosi scritti alla cultura giapponese, sceglie proprio di soffermarsi sulle figure di alcuni nobili sconfitti di un Giappone antico, mitico di eroi e semidei, fino a quelle più recenti e controverse dell’epoca dei kamikaze. Come chiarisce Marcello Ghilardi, autore della prefazione a questa nuova edizione: «Il libro di Ivan Morris, la cui prima edizione comparve a Londra nel 1975, racconta come sia proprio il fallimento mondano, in rapporto a un’impresa a cui ci si dedica con la totalità della propria esistenza, a far emergere l’autenticità e la lealtà a un ideale, le cifre più importanti in grado di testimoniare la nobiltà d’animo di un essere umano. Quella che Morris definisce “nobiltà della sconfitta” si rivela come un’idea inaudita di eroismo e di pienezza».

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