Una lettera inedita rivelerebbe il suo coinvolgimento in un massacro di ebrei in Polonia nel 1939
da Tiscali Cultura del 30 agosto 2024
Fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è stato presentato un film documentario, una sorta di spy story che prova, con un enorme materiale d’archivio di 50mila fotografie, il coinvolgimento della regista tedesca Leni Riefenstahl in alcuni dei crimini nazisti. Lei per tutta la sua vita, dopo la fine della guerra, aveva sostenuto di non essere affatto coinvolta nel nazismo e di non avere alcuna responsabilità di regime.
Il docufilm
Diretto da Andres Veiel il film racconta la vita di una donna di certo unica per quei tempi (la prima regista) con un passato che implacabile la segue come un’ombra. Dopo la sconfitta della Germania nella seconda guerra mondiale, Riefenstahl provò a ricostruire la sua carriera descrivendosi come un’artista apolitica e che aveva fatto film come quelli passati alla storia sulle Olimpiadi di Berlino del 1936 come commissioni, incarichi da Hitler che stimava ricambiata o dai suoi ministri e non perchè fosse essa stessa parte di quella cerchia. E che dei crimini seppe solo dopo la fine del conflitto. Nel film, che vede anche la partecipazione Rai Cinema nella produzione, Veiel si butta a capofitto negli archivi della regista gestiti dalla Prussian Cultural Heritage Foundation di Berlino.
“Riefenstahl – morta nel 2003 a ben 101 anni – ha cercato per tutta la sua ultima parte di vita di ripulire gli archivi da materiali scomodi che contraddicevano la sua narrazione pubblica di artista distante da Hitler, ma nonostante ciò sono rimasti degli indizi. C’è ad esempio una frase che avrebbe detto molto prima della guerra al quotidiano britannico Daily Express in cui durante le riprese di The Blue Light nel 1931 sarebbe caduta innamorata di Hitler sin dalle prima pagine del Mein Kampf, diventando una entusiasta nazionalsocialista. Ebbene – ha detto oggi in un incontro stampa Veiel – Leni si è sbarazzata del ritaglio stampa, ma noi lo abbiamo rintracciato dalla fonte originale”.
In tutto il film si vede una anziana ma battagliera Riefenstahl difendere la sua onorabilità di artista, negando ad esempio di aver usato come comparse rom destinati ai forni nazisti o di aver mai espresso sentimenti razzisti sugli ebrei. O peggio ancora un film sull’Olocausto da lei stessa distrutto.
Ha negato per tutta la vita
E’ incalzata durante interviste televisive concesse nel dopoguerra ma lei non crolla mai e anzi conserva le registrazioni delle telefonate che riceve in suo sostegno, una vittima insomma che però il pubblico continua ad ammaliare. “Era una manipolatrice – hanno detto oggi Veiel e la produttrice Sandra Maischberger che a gennaio daranno alle stampe un libro sulla loro indagine – creatrice di fake news”. Lei al contrario fino a poco prima di morire, con le esperienze in Sudan nelle tribù indigene e poi con un film sportivo di imprese sottomarine, ha sostenuto di essere stata guidata per tutta la vita dal mito della perfezione estetica, dalla bellezza e dalla natura.
I suoi film più iconici
Film che raccontano il congresso del partito nazista del 1934 in Il trionfo della volontà o celebrano i giochi olimpici del 1936 con Hitler quasi semidio in Olympia.
La prova
Analizzando alcuni documenti personali, è spuntata fuori una lettera del 1952 in cui sembra essere certificata una sua responsabilità, seppur indiretta, nel massacro compiuto dai nazisti a Kónskie, nel centro-sud della Polonia, nel settembre 1939. Firmata da un ufficiale di grado inferiore al marito della regista, il maggiore della SA Peter Jacob, racconta che Riefenstahl avrebbe sollecitato a «rimuovere gli ebrei» da un mercato in cui doveva girare una scena. «Sbarazzatevi di loro», avrebbe intimato ai soldati, che risposero sparando direttamente su alcune persone in fuga. Parole che contrastano con quanto avrebbe detto nel 1976, confessando di aver conosciuto gli orrori compiuti dagli uomini di Hitler solo dopo la guerra. Non solo. Nell’archivio sono spuntate lettere di ammiratori e corrispondenze in cui lei si rammarica per «gli ideali assassinati» del nazismo. E ancora 30 ore di conversazioni telefoniche, registrate su cassetta, che la regista ebbe con ex membri del partito nazista