Dunque, lo scenario è alquanto complesso: gli alpini sono schierati a difesa di Sankt Moritz, assalita dalle truppe razionaliste guidate da Voltaire. Oppure, osservato da un altro punto di vista: una schiera di romani dalla pelle nera conquista e catechizza i popoli padani e quelli della Svizzera…
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di Roberto Beretta, da “Avvenire” del 23 luglio 2010
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Quale delle due ipotesi è più surreale? Tranquilli: per fortuna, quella della Legione Tebea è forse soltanto una leggenda, altrimenti sarebbe assai complicato spiegarne lo svolgimento (e le conseguenze) ad alcuni protagonisti dello scenario contemporaneo. Per esempio agli abitanti della cittadina turistica più chic dei cantoni elvetici, Sankt Moritz appunto, forse non troppo consapevoli di avere per patrono un immigrato egiziano (peraltro lo stesso della casata dei Savoia…); oppure agli alpini, che in un recente numero del loro periodico societario invocavano a gran voce il rientro a Bergamo delle reliquie del patrono sant’Alessandro, milite della medesima Legione Tebea, e si scagliavano contro chi mette «in dubbio l’esistenza stessa» di quell’esercito di martiri.
Beh, in verità non è stato solo Voltaire a definire una “fola” la storia della falange di 6600 soldati romani, tutti provenienti dalla regione egiziana di Tebe – ma non manca chi li riferisca alla Tebe greca – e tutti cristiani, che alla fine del III o all’inizio del IV secolo (comunque prima dell’editto di Costantino) sarebbero stati martirizzati nell’odierno cantone svizzero del Vallese per aver rifiutato di sacrificare all’imperatore. Ora ne ripercorre la misteriosa vicenda uno studio del torinese Massimo Centini, Martiri Tebei. Storia e antropologia di un mito alpino (Priuli & Verlucca, pagine 94, euro 19,50); misteriosa perché avrebbe tutti gli elementi per essere liquidata alla Voltaire, come una “sciocchezza” impossibile, e invece conserva anche diversi appigli per essere rivalutata quanto a storicità almeno in un suo nucleo fondamentale.
Dunque, la schiera dei tebani sarebbe stata inviata nel 286 dall’imperatore Massimiano sul versante settentrionale del Gran San Bernardo per domare la rivolta dei locali Galli celti, i Bagaudi, ma lì avrebbe rifiutato in massa di adorare l’immagine dell’imperatore e dunque sarebbe stata sottoposta (a cominciare dal comandante Maurizio) alla pratica militare della decimazione; i superstiti si sarebbero quindi dispersi in varie zone ai piedi delle Alpi – soprattutto in Piemonte – trovandovi successivo martirio anche ad opera delle popolazioni della zona, all’epoca pagane, e dando origine a un culto popolare vastissimo, variegato e tuttora ben lontano dall’estinguersi (sono oltre quattrocento i santi cui è attribuita un’appartenenza nilotica e che ora godono di qualche patronato nelle zone subalpine: Alessandro, Essuperio, Magno, Candido, Solutore, Avventore, Ottavio, Dalmazzo, Besso, Costanzo, Fedelino, Marchese, Chiaffredo, Porzio, Valeriano, Donnino, Barolo, Restituto…).
Ma cosa c’è di vero in tutto ciò? La storia viene riportata per primo da Eucherio, vescovo di Lione circa un secolo e mezzo dopo i fatti, autore della Passio acaunensium martyrum: uno scritto per uso liturgico che da una parte attesta l’esistenza di un radicato culto dei tebani, dall’altra rimanda come fonte storica primitiva a Teodoro, vescovo di Martigny alla fine del IV secolo. Sarebbe stato proprio costui a far erigere il sacello che gli scavi archeologici hanno pur ritrovato sotto l’abbazia di Saint-Maurice-en-Valais, la più antica d’Europa con continuità di occupazione.
Teodoro faceva parte del gruppo di vescovi amici di sant’Ambrogio di Milano. Ebbene, il patrono lombardo nel 386 era stato protagonista di una miracolosa “invenzione” (nel senso desueto di “ritrovamento”) dei corpi di due sconosciuti che poi attraverso alcuni prodigi gli si erano rivelati come martiri: Gervaso e Protaso. Niente di più semplice che il meccanismo agiografico-pastorale sia stato adottato a casa sua anche da Teodoro, di cui la Passio di Eucherio afferma che «scoprì i corpi (dei tebani) molti anni dopo il martirio».
Non per nulla, i saggi archeologici sotto l’abbazia hanno rivelato l’esistenza di sei tombe e comunque la zona era un cimitero molto antico; qualche storico suppone anzi che vi si trovasse la fossa comune in cui vennero inumati i soldati romani morti in una battaglia del 56 a.C., se non addirittura alcuni cartaginesi di Annibale incappati in un’imboscata. Tutto sembra chiaro, dunque: la scoperta di tombe militari avrebbe indotto il vescovo Teodoro a “inventare” (questa volta il vocabolo va usato nell’accezione più consueta) la leggenda dei martiri, che gli poteva servire per evangelizzare una zona ancora pagana; non per niente – lo sottolinea bene Centini – varie pratiche cultuali legate ai legionari sembrano essere una “cristianizzazione” di riti precedenti, legati soprattutto ai megaliti e alla fertilità.
Eppure… Se le cose stanno così, che bisogno c’era – per esempio – di aggiungere che quei martiri erano tebei, africani, insomma neri? Si fa notare a questo proposito che in effetti una legio thebaea nell’ordinamento militare romano esisteva davvero (pur se si discute sull’epoca) e che fu di stanza in Italia verso la fine del IV secolo, allorché l’imperatore Teodosio venne in due riprese a contrastare due usurpatori con le sue truppe orientali.
La data è contemporanea al vescovo di Martigny Teodoro: potrebbe essere che costui abbia retrodatato di un secolo una realtà a lui nota personalmente, immaginando che i “martiri” scoperti a Agaunum fossero tebani? È l’ipotesi di uno studioso, David Woods; che vi aggiunge anche una motivazione: attraverso l’esempio dei supposti “antenati”, il vescovo voleva invitare i soldati presenti nel Nord Italia ad appoggiare il vero imperatore (cristiano) e a non alzare le armi sui civili; nello stesso tempo esortava i barbari ad abbracciare la fede cristiana, grazie alla quale i loro predecessori erano stati risparmiati. Un’”invenzione” con scopo teologico-politico, insomma; forse Voltaire sarebbe contento. Gli abitanti di Sankt Moritz chissà.
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VUOI SAPERNE DI PIU’? LEGGI L’ARTICOLO DI MASSIMO CENTINI DA “STORIA IN RETE” N° 50
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Inserito su www.storiainrete.com il 2 agosto 2010