L’autore di “Italiani per forza”: “Il Sud partecipò con tutti i ceti sociali”
di Luigi Mascheroni da Il Giornale del 18 marzo 2021
La guerra storiografica fra risorgimentali e neoborbonici dura dall’Unità d’Italia, e fanno – oggi – 160 anni. Da una parte le ragioni del Nord, ossia di un processo unitario guidato dal Piemonte che ha favorito anche il Sud. Dall’altra le rivendicazioni di un Sud che ha sempre visto i piemontesi come colonizzatori. In mezzo: leggende nere, mitizzazioni, polemiche.
Dino Messina, Lei ha appena pubblicato Italiani per forza. Le leggende contro l’Unità d’Italia che è ora di sfatare (Solferino). Cosa c’è da sfatare?
«Innanzitutto l’idea di un Sud che ha subìto il Risorgimento, quando invece ne è stato parte attiva. Quando Garibaldi nel maggio del 1860 sbarca a Marsala non potrebbe fare nulla senza l’aiuto dei siciliani. E infatti ha l’appoggio di tutti: baroni, popolani, picciotti… Solo i contadini se ne stanno per i fatti loro. Basta dire che l’esercito di Garibaldi, dagli iniziali 1086 volontari alla fine ne conta circa 50mila, e due terzi sono meridionali. C’era una numerosa brigata calabrese, e una lucana di tremila uomini».
Quindi il Sud non fu passivo?
«Per nulla. Partecipò al processo risorgimentale, e con tutti i ceti sociali. È vero: la rivoluzione non coinvolse i contadini. Ma non soltanto quelli del Sud, i contadini di tutta l’Italia».
Il movimento antirisorgimentale e neoborbonico accusa i Savoia di stragi.
«Altra leggenda da ridimensionare. Molta storiografia reazionaria denuncia le stragi di borbonici nel carcere-lager di Fenestrelle, o gli incendi di Pontelandolfo e Casalduni ad opera dei piemontesi contro i legittimisti. La verità è che si sono voluti creare dei mostri: i Savoia come i nazisti, Vittorio Emanuele come Hitler, il generale Cialdini come Kappler… Non dico che non ci fu una repressione da parte dell’esercito italiano. Ma i fatti sono stati strumentalizzati e ingigantiti. Il fenomeno del brigantaggio, fomentato dai Borbone in esilio, interessò, secondo i dati più attendibili, 25mila persone. Non era una rivolta pianificata contro lo Stato centrale, ma una guerriglia che trovava la sua motivazione nella miseria generalizzata, nella leva obbligatoria e nella mancata redistribuzione delle terre demaniali».
E il Meridione felice prima dell’Unità d’Italia? È esistito?
«No, assolutamente. Si consideri solo a un dato: nel Regno delle Due Sicilie l’analfabetismo nel 1861 era pari all’86% della popolazione. Il dato medio, nel nord dell’Italia era il 50. Viceversa si prendano i salari: erano praticamente uguali al Nord e al Sud. La vera differenza non era fra Sud e Nord d’Italia; ma fra l’Italia, arretrata, e il resto dell’Europa, con Germania, Francia e Gran Bretagna dove la invece la rivoluzione industriale correva».
Qualche eccellenza il Sud l’avrà avuta però…
«Sì, certo: ad esempio le Officine di Pietrarsa la prima fabbrica italiana di locomotive e rotaie. Un gioiello di Ferdinando II di Borbone. Ma nel 1860 la rete ferroviaria del Regno era di cento chilometri. In Piemonte di 800, e in Lombardia 500».