In un’epoca in cui lo scontro tra Occidente e Oriente tende a riaccendersi e i moventi religiosi dei conflitti, che si credevano tramontati per sempre, si ripresentano, tornano anche in auge vecchie espressioni.
di Matteo Sacchi da Il Giornale del 28 aprile 2016
La parola «crociata» è una di queste. Spesso vissuta dagli occidentali con gran senso di colpa è utilizzata anche dai radicali islamici per giustificare le loro atrocità: come se stessero giocando in difesa contro un Occidente aggressivo, oggi come ieri. Allora può essere interessante tornare a studiare gli avvenimenti che nei manuali vengono collocati sotto l’etichetta delle crociate. Nove o otto (a seconda dei testi) conflitti armati collocabili tra il 1095 e il 1271, circa, che pur coinvolgendo sempre europei e potentati islamici ebbero caratteristiche piuttosto diverse.
Di essi gli storici occidentali ci hanno dato una narrazione varia che va da quelle trionfali, ormai fuori moda, a quelle lacrimose e piene di senso di colpa che vanno per la maggiore oggi. Paul M. Cobb, che insegna Storia del mondo islamico medievale alla University of Pennsylvania di Filadelfia, ha invece provato a utilizzare una prospettiva di studio affatto diversa. Il risultato è il suo volume appena pubblicato da Einaudi: La conquista del paradiso. Una storia islamica delle crociate (pagg. 368, euro 32).
L’idea che ha guidato Cobb è relativamente semplice, anche se richiede grandi competenze culturali e linguistiche: ovvero ribaltare le prospettive e guardare la storia di questi conflitti privilegiando la versione che ne danno le fonti arabe. Il risultato è quantomeno stupefacente. E smonta in buona parte il teorema del conflitto religioso che avrebbe offeso permanentemente il mondo arabo creando un filo rosso che va dalla presa di Gerusalemme a Bin Laden. A esempio appare con chiarezza come i dotti islamici considerassero l’Europa attorno all’anno Mille: una periferia di scarsa importanza relegata, in buona parte, fuori dalle zone climatiche in cui valeva la pena vivere. Nel X secolo un viaggiatore andaluso, Ibrahim ibn Ya’qub, attraversando il continente ammira i campi verdeggianti di Bordeaux, apprezza i salmoni che si pescano a Rouen, il monastero di Fulda, descrive persino la caccia alle balene praticata dagli irlandesi. Ma in generale i «Franchi» che sono il cuore dell’Europa gli paiono poveri, sporchi e al massimo mirabili come guerrieri e fabbricanti di spade. Forse non si soffermò abbastanza su questo dettaglio, ma ci si soffermarono abbondantemente i signori locali della Sicilia e di El Andalus (l’attuale Spagna). I Franchi per risolvere le loro guerre intestine andavano benissimo e iniziarono a reclutarli in gran quantità. Si portarono in casa questi immigrati bellicosi, contendendoseli con ottimi stipendi.
Ed è qui che secondo gli storici musulmani parte il conflitto con gli europei, altro che la marcia verso Gerusalemme. El Andalus e la Sicilia, essendo straziate da violente guerre fra signori islamici, finiscono per essere riprese dagli Occidentali. Nel 1060 ad esempio i Normanni di Ruggero, fratello di Roberto il Guiscardo, iniziano l’invasione della Sicilia. La cui perdita agli scrittori islamici crea uno choc ben più profondo delle successive vicende gerosolimitane. E su chi vada incolpato di tutto questo la maggior parte degli autori arabi ha le idee chiarissime: i loro governanti. Così lo scrittore Ibn Hazm sulla perdita di molti dei territori spagnoli: «Giuro su Dio che se i tiranni dovessero capire che sarebbe più facile raggiungere i loro obbiettivi adottando la religione della Croce, senza dubbio si affretterebbero a professarla. Anzi vediamo che chiedono aiuto ai cristiani… Di frequente li proteggono nei loro attacchi e si alleano con loro».
Nel caso delle crociate vere e proprie, poi, avvengono in un territorio che, con le varie invasioni turche, si era trasformato in un vero Far West del mondo islamico. Una situazione di caos in cui molti signori islamici decisero di trattare con i cristiani dando vita alle più varie e complicate situazioni. Ci furono musulmani che si videro affidare feudi dai nuovi dominatori franchi, e signori europei che si accordavano con i vicini islamici in un caleidoscopio di soluzioni tale da far sembrare la geopolitica di oggi un gioco da bambini. Un solo esempio per dare l’idea: nel settembre 1108 nei pressi della fortezza di Tall Bashir si assistette allo «strano spettacolo del signore Franco di Antiochia che marciava a fianco delle truppe musulmane del signore di Aleppo, schierati in battaglia contro il rappresentante del sultano, il signore musulmano di Mossul, in cammino assieme ai suoi alleati i franchi di Edessa». Quanto ai cittadini comuni, spesso tra franchi e correligionari finivano (massacri a parte) per preferire i franchi. Semplicemente perché non avevano grosse pretese fiscali. Così lo scrittore Ibn Jubayr: «Questi sono guai imprevedibili che capitano ai musulmani, che la comunione islamica si lagni dell’ingiustizia dei suoi stessi reggitori, e lodi la condotta del suo antagonista e nemico, il suo padrone franco, e si familiarizzi alla sua equità».
E forse a questo punto qualcuno si sarà stupito di non aver mai visto citare la parola Jihad. Non vi furono moltissime mobilitazioni alla Guerra santa da parte dei mussulmani. Il termine comparve ogni tanto e ci furono anche reparti accorsi a combattere contro i crociati per motivi schiettamente religiosi. Ma la minaccia franca non portò alla creazione di un «islam militante». Se ha ragione Cobb tutti quelli che assecondano il «singhiozzo dell’uomo bianco» sulle Crociate possono mettersi il cuore in pace. Furono guerre cruente e complesse, ma l’odio islamico per l’Occidente non nasce da lì. È figlio di nazionalismi e invidie molto più recenti, che su quel mondo hanno costruito, semmai, una mitologia dell’odio.