Di Andrea Marcigliano da ElectoMagazine del 23 ottobre 2023
Fuga dal latino, sentenziano i giornali. Dimezzati gli iscritti al Classico. E in grande crescita lo Scientifico “semplificato”. Ovvero senza latino, sostituito, se non erro, dall’informatica. Che dire? Abbiamo avuto ministri dell’istruzione che hanno sostenuto la necessità, urgente, di andare al passo con i tempi. Quindi di studiare informatica et similia (notate, vi prego, il voluto latinismo).
Abbiamo una Presidente (neutro, non si declina maschile e femminile) che ha affermato che, a suo avviso, il vero liceo è l’istituto agrario… quindi, tutti a zappare! O a concimare, meglio ancora…
E, allora, che possiamo pretendere? Il livello della classe politica, destra e sinistra, questo è. E non parliamo dei dirigenti e dei quadri pubblici…
Per altro, anche i preti, la Chiesa, hanno abbandonato il latino da un bel po’ di tempo. Incuranti di quanto aveva detto Pio XII: quando abbandonerà il latino, la Chiesa dovrà tornare nelle catacombe.
Già, perché una Chiesa, ovvero Ecclesia (latinismo, ancora) che si definisce Cattolica Apostolica Romana, se abbandona il latino, per usare italiano, francese, kuykuyo, ed altro… Romana non può davvero dirsi più. Oddio, per altro con la gestione stile gauchos, anche il Cattolica e l’Apostolica sarebbero un bel po’ da discutere…
Comunque, torniamo a scuola. Vedo i miei (antichi) colleghi del Classico, ove insegnavo un tempo, lanciare disperati appelli: Non fate morire il Liceo Classico!
Li comprendo. E simpatizzo. Almeno per alcuni di loro, non è solo una questione… alimentare. Agli altri davvero non importa. Basta tirare lo stipendio a fine mese, meglio se lavorando poco o niente. Meglio ancora se in DAD (oh tempi beati del COVID!) a casa, in pantofole e mutande. Purtroppo temo che questi siano, ormai, la maggioranza. Ed è questa parte, non secondaria, del problema.
Perché il latino – e se penso al greco peggio mi sento – non si può insegnarlo se non lo si ama. Profondamente. Si deve amare leggerlo. E leggere gli autori. Anzi, trarne uno stile di vita. Cicerone, Seneca, Tacito, insegnano a vivere. E insegnano anche a morire. Che è, poi, la stessa cosa… perché se non si sa morire non si sa neppure vivere. L’ethos romano non era molto lontano da quello dei samurai giapponesi.
Non si comprende cosa sia la bellezza senza aver letto Virgilio e Orazio. E si ignora passione (ed eros) senza Catullo e Ovidio.
Il latino ti insegna il senso della storia e delle storie. L’arte della politica… che è arte, e non mestiere volgare. Ti insegna cosa significhi essere Uomo. E cosa Donna.
Ed è per tutto questo che, oggi, sempre in meno lo studiano. Ed ancora in meno provano (sempre se in grado) ad insegnarlo davvero.
Insegna a pensare, soprattutto. E, oggi, chi comanda – e non penso ai pallidi figuri di Palazzo Chigi e dintorni – chi comanda davvero, tutto vuole meno che si cominci, e impari, a pensare.
Meglio, molto meglio dei periti informatici da rendere autistici e amorfi con ore ed ore davanti ad uno schermo. Passivi e attoniti.
Meglio degli “agricoltori”, privati, però, di ogni rapporto vivente con la terra. Anche loro sempre più appendici di macchine. E non autentici contadini. Come erano, orgogliosamente, i Latini antichi. E leggetevi il Cato Maior di Cicerone se non ci credete.
Agli ultimi mohicani, agli ultimi professori che, ancora, insegnano davvero latino e ai pochi studenti che imparano ad amarlo, non si può dire che una cosa.
Preparatevi a scendere nelle catacombe.