Ciò che abbiamo sempre creduto giusto e bello, il riconoscimento delle nostre identità, è diventato una patologia psichica o un delitto. Il nazionalismo non è odio ma amore per la propria patria.
di Claudio Risé, da La Verità, 29 dicembre 2019
Le burocrazie di Organizzazioni Internazionali ormai fuori dal tempo cercano con la polemica anti nazionalista di impedire agli stati di recuperare la loro sovranità. Cosa che i paesi ex sottosviluppati hanno già fatto da decenni, grazie ai nazionalismi etnici. Il nazionalismo non è una perversione e la nazione non è una banda armata. Può sembrare superfluo ricordarlo, ma non è così. Ormai sulla maggior parte dei media si parla di nazionalismo come se fosse un patologia psichica e dei nazionalisti come gente da controllare e punire. Non per niente è stata istituita una Commissione politica (Segre) che ha tra i suoi compiti la sorveglianza del nazionalismo. Si tratta di un rovesciamento storico nella coscienza politica del Paese, con importanti ricadute di malessere psichico. La nazione infatti (per dirla rapidamente) rafforza l’identità individuale e collettiva, così come la sua messa al bando la indebolisce pericolosamente, fino a renderla “liquida”, inconsistente.
Tutti i grandi poeti italiani, da Manzoni a Foscolo a Leopardi a Ungaretti, hanno messo in rima e confermato il valore formativo del sentimento nazionale. Certo di tratta di un sentimento e un impegno non da poco. “Oh venturose e care e benedette / L’antiche età, che a morte / Per la patria correan le genti a squadre”, scriveva nella Canzone all’Italia l’autore dell’Infinito. Che secondo l’attuale Presidente della Repubblica era “insofferente ai confini”, come è lui oggi; ma in realtà, come tutti i grandi dell’epoca, si batteva perché quei confini venissero appunto stabiliti e garantiti. Non per ideologie belliciste ma perché senza di essi non c’è né identità nazionale, né identità personale: l'”Io”, come è chiamato nel linguaggio della psicologia (ma anche della filosofia, della religione, delle scienze umane). Senza confini non si definisce alcuna forma, né degli Stati né della personalità, e si cade in quello stato di confusione e deperimento che psichiatria e sociologia chiamano: “marasma”. Quando l’anima del popolo non può incarnarsi in una nazione, lo spirito del popolo (di cui parlavano i padri dell’unità nazionale) rimane inespresso e la sua forza e potenzialità frustrate. Finito il fascismo, all’indomani della Resistenza, sui banchi di scuola ci avevano insegnato che era giusto e sensato amare la propia nazione, facendoci imparare a memoria i poeti, personaggi e fatti storici del Risogimento italiano, che noi non dimenticheremo più. Da allora però, sono cambiate molte cose. Una delle quali è appunto la sorprendente messa al bando (in particolare in Italia) della nazione, un interdetto che è tra le cause principali di quella “morte della patria” denunciata dallo storico Ernesto Galli della Loggia e che è al centro del nostro disagio contemporaneo. Piano piano, quasi senza che ce ne accorgessimo, ciò che avevamo creduto giusto e bello, il riconoscimento della nostra identità nazionale, della nostra storia e della nostra cultura è diventato una patologia/delitto, da sorvegliare attentamente. Questa nuova sensibilità censoria, con vistosi tratti di autoflagellazione nazionale, corrisponderebbe però – ci viene assicurato – all’attuale punto d’arrivo della civiltà: all’evoluzione della cultura, anzi dell’umanità.
Ebbene: non è vero niente. La storia va avanti, ma da tutt’altra parte di dove che ci stanno raccontando. La verità è che la carta geografica del mondo è completamente cambiata: sono nati più di un centinaio di nuovi Stati, nella grande maggioranza dei casi espressione di nazioni etniche, culturali, religiose, che fino a non molto tempo fa erano ancora colonie e dipartimenti dei grandi Imperi, e sono stati liberati negli ultimi 70 anni appunto da nazionalismi etnici, determinati e coraggiosi. Molti di questi Paesi hanno ora economie fiorenti e dirigenti capaci, di cui i nostri media “di sistema” si guardano bene dal parlare. Oggi si sa bene che queste nazioni e popoli animano la nuova parte del mondo in forte sviluppo e proiettata nel futuro, mentre a rappresentare il passato sono piuttosto le grandi organizzazioni sovranazionali, dalle Nazioni Unite all’Unione Europea, che in questi storici cambiamenti hanno dimostrato tutta la loro pesantezza burocratica e lontananza dai popoli e dai territori che dovrebbero rappresentare e dalle loro aspirazioni ideali e spirituali. Anche da noi però la musica sta cambiando non certo grazie alle “sardine sott’odio” (copyright Borgonovo), e la burocrazia politica da noi tuttora pagata lo sa benissimo. La polemica antinazionalista appassionata dell’odio cerca così di confondere il nazionalismo, forma politica millenaria oggi in piena vitalità in tutto il mondo, con il nazionalsocialismo che è durato 15 anni con il fiatone della follia. I burocrati delle vecchie elite non si aspettavano che i sentimenti nazionalisti e antiglobalisti cambiassero oltre alla carta geografica del mondo ricco di risorse ma ancora “esotico”, anche la guida del mondo più sviluppato, con l’arrivo di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti e di Boris Johnson a quella dell’Inghilterra: Brexit è stata la ribellione della nazione britannica alla visione burocratica e antidemocratica dell’Unione Europea. Le infiltrazioni di odio antisemita poi, denunciate anche da Tony Blair, erano tra i laburisti non tra i conservatori, e Johnson malgrado l’ostilità diffusa del vecchio establishment ha vinto anche grazie ai moltissimi giovani (anche fra i parlamentari laburisti) che gli hanno dato i loro voti e si sono personalmente impegnati nel rinnovamento conservatore portato avanti da Bojo.
D’altra parte, la grancassa anti odio non può suonare marce contro il nazionalismo, anche perché il via alla liberazione post coloniale l’ha dato nel dopoguerra proprio il nazionalismo indiano, guidato da Gandhi con la “non violenza”. Il fatto è che la forza del nazionalismo nei secoli non è ovviamente l’odio (non si vince mai con i sentimenti distruttivi, come ha mostrato anche l’hitlerismo), ma l’amore per la propria Patria, immagine della madre, come spiegava nei suoi lavori sulla guerra lo psicoanalista pacifista Franco Fornari. Certo che se ami la patria poi la devi anche difendere, e ciò ha sempre dato fastidio a un sacco di gente, tra cui in ogni epoca i mercanti di schiavi, interessati da secoli al libero imbarco e sbarco (oltre che della droga) della loro mercanzia umana, ridotta a merce. L’interesse dei mercanti però non c’entra con pace e l’amore, ma con i soldi e il potere. Per capire cosa è il nazionalismo vale allora la pena di dare un’occhiata (più che agli articoli delle firme anti odio) ai dizionari più accreditati delle democrazie collaudate da tempo. In Inghilterra il Cambridge definisce nazionalismo “il desiderio e l’impegno di realizzare e mantenere l’indipendenza politica del proprio paese o nazione”. In Francia il Larousse chiama nazionalismo il “movimento politico di individui consapevoli di formare una comunità nazionale per i legami (lingua, cultura) che li uniscono. Il nazionalismo ha spinto i popoli a formare Stati sovrani, o a rivendicare la loro indipendenza”. Di odio non si parla proprio. Che tutto questo baccano sia un modo per non lasciarci recuperare la nostra sovranità perduta (come ha fatto già da anni l’ex “terzo mondo)?