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La leggenda proibita di Italo Balbo, squadrista, aviatore e ministro

di Marcello Veneziani – da MarcelloVeneziani.com del 15 marzo 2022

Italo Balbo fu una leggenda mondiale, prima che un protagonista storico di prima grandezza. Eppure l’Italia oggi lo cancella sugli aerei di stato perché fu fascista. Interventista alpino nella grande guerra, dannunziano a Fiume e nella reggenza del Carnaro, fascista prima del fascismo; ras di Ferrara e Quadrumviro della Marcia su Roma a soli ventisei anni; poi Comandante generale della Milizia fascista e Maresciallo dell’Aria, Balbo fu il mito vivente dell’aeronautica italiana. Ispirò l’Aeropoema del Golfo di F.T. Marinetti e la passione futurista per i cieli e i voli; entusiasmò giovani, militari e sportivi e diventò il modello di una vita ardimentosa, in terra e in cielo, oltre le nuvole e nei deserti africani.

Fu la prosecuzione del dannunzianesimo e dei suoi voli arditi, ma seppe proiettarli anche oltre l’esperienza bellica, passando da combattente a navigatore, da soldato a esploratore di nuovi cieli e terre remote. Una passione che in quel tempo contagiò anche i figli di Mussolini, Vittorio e Bruno, anch’egli morto giovane nei cieli in tempo di guerra, a breve distanza da Balbo. 

Le trasvolate di Balbo, prima nei cieli del Mediterraneo e poi nell’Atlantico fino in Canada, non furono solitarie, ma con lui partì un’autentica flotta: per gli Stati Uniti nella celebre Crociera del Decennale del 1932, partirono ben 24 velivoli dall’Italia. In America Balbo fu accolto come un eroe e uno scopritore, quasi un remake dell’impresa di Cristoforo Colombo e di Amerigo Vespucci; suscitò la fierezza degli emigrati italiani, e fu con Primo Carnera il simbolo del riscatto e del ritrovato orgoglio d’italianità tra gli italo-americani. L’Italia raggiunse con lui la punta più alta di ammirazione oltreoceano.

La sua popolarità, dopo le trasvolate, insidiò quella del Duce, che a un certo punto lo mandò in Libia come governatore. Ma anche lì, a Tripoli, Balbo si distinse chiedendo l’integrazione dei libici come cittadini italiani nel rispetto della loro religione islamica. Mussolini nel ’36 aveva brandito la spada dell’Islam, e l’Italia fascista prometteva alle popolazioni indigene di liberarle dalle schiavitù, cantando con Faccetta nera:“ti porteremo a Roma liberata, sarai camicia nera pure tu”. Nel solco di questa visione mussoliniana l’opera di Balbo in Libia produsse in poco tempo leggi, opere pubbliche, politica sociale e trasformazioni nel segno della modernizzazione e dell’alfabetizzazione. 

Nel discorso che gli dedicò a due anni dalla sua tragica scomparsa, Giuseppe Bottai disse: “Un’Italia nuova s’avanza con gli aerei di Balbo nella storia del mondo e ne muta, raccorciando le distanze, i termini. L’Italia appena unificata, pone i problemi di una più vasta unificazione. Mari, oceani, continenti, razze si rimescolano al rombo possente della nostra ala; e i popoli, dagli orti conchiusi delle loro nazionalità, intravedono sistemi nuovi di rapporti tra loro”. Superamento delle razze, mescolanza e integrazione dei popoli, nazionalità non più chiuse nei loro orti… Sono parole pronunciate nel giugno del ’42, in piena guerra; parole che Balbo avrebbe sottoscritto. E’ un germe di globalizzazione, ma sotto l’egida dell’universalità di Roma. Balbo ne fu un audace precursore.

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In Libia Balbo riceveva spesso visite d’italiani illustri e di amici. Una volta, si racconta, andarono a trovarlo Ettore Muti e Leo Longanesi e insieme decisero d’imbastire uno scherzo. Longanesi si travestì da Re Vittorio Emanuele III, essendo anche lui di bassa statura, e nascosto dietro l’enorme visiera, si spacciò per il Re in visita in Libia e si fece scorrazzare in un’auto scoperta mimando il sovrano sabaudo in modo buffo. Quando lo venne a sapere il Re fece le sue rimostranze a Mussolini. Il Duce convocò i tre, fece una sfuriata tremenda, ma poi volle conoscere i particolari dello scherzo e non riuscì a trattenere le risate. 

Balbo diffidava dei tedeschi allora alleati ed era critico sulle leggi razziali. 

A pochi giorni dall’entrata in guerra, nello stesso giugno del 1940, Italo Balbo morì in uno strano incidente aereo nei cieli di Tobruk a soli 44 anni, abbattuto da una contraerei italiana. Morì con lui tra gli altri, Nello Quilici, direttore del Corriere padano, padre di Folco, regista e scrittore, amante della natura. Insignito della Medaglia d’Oro, Balbo fu sepolto a Tripoli nel Monumento ai Caduti. Disse di lui Mussolini: “Era un autentico rivoluzionario, il solo che avrebbe potuto uccidermi”, uno strano elogio funebre forse allusivo di un suo dissenso ma in quel momento indicava in Balbo il suo indomito coraggio, il suo non arretrare rispetto a nulla…

La biografia che Titta Rosa dedicò nel ’41 a Balbo non era stata più ristampata fino a oggi (come del resto l’ironica Vita di Pizzo di Ferro che Curzio Malaparte ed Enrico Falqui dedicarono a Balbo vivente già nel ’31). Ho visitato lo straordinario castello di Balbo a Punta Ala. Titta Rosa descrisse ai funerali di Balbo “la folla in lagrime, immensa, d’ogni religione, d’ogni razza”. E seguitava: “Era morto il suo Eroe più bello, giovane come un dio antico, che amava la vita, la bellezza, la bontà”. Toni retorici da regime, si dirà e non a torto; ma la commozione per la sua morte prematura e la mitizzazione non solo italiana del personaggio rispecchiavano la realtà, e la leggenda di Italo Balbo.

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