di Veronica Arpaia dal blog del Corriere della Sera “La Nostra Storia” del 12 giugno 2018
Guareschi, che ci ha lasciato il “Diario clandestino – 1943-1945”, Rizzoli, 2017, fu catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943 diventando parte dell’ampia schiera di Internati Militari Italiani la cui vicenda è spesso stata tenuta ai margini per nascondere le amare responsabilità di chi scelse l’armistizio dopo aver dichiarato l’esatto contrario poco più di un mese prima e lasciando una nazione allo sbaraglio. Giovannino venne mandato a Sandbostel (Germania), poi a Czestokowa e Beniaminowo (Polonia), nuovamente a Sandbostel e, in ultimo, a Wietzendorf, perse 30 chili :«I trucioli del mio pagliericcio sono diventati polvere, e in essa navigano le mie ossa. E io mi sento come un naufrago».
Sono pagine piene di poesia, dolcezza, affetto, coraggio, memoria, forza, malinconia, durezza e persino umorismo (razionato) che non perse mai :«Signora Germania, tu mi hai messo fra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca. È inutile signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi. E questo è niente ancora…perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti…Signora Germania, tu frughi nel mio sacco, rovisti fra i trucioli del mio pagliericcio. È inutile, signora Germania: tu non puoi trovare niente e invece lì sono nascosti documenti di importanza essenziale. La pianta della mia casa, mille immagini del mio passato, il progetto del mio avvenire».
Guareschi non si perse mai d’animo raccontando :«Una banalissima storia nella quale io ho avuto il peso di un guscio di nocciola nell’oceano in tempesta e dalla quale io esco senza nastrini e senza medaglie, ma vittorioso perché, nonostante tutto e nonostante tutti, sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno».
Come ovvio, uno dei temi ricorrenti è la fame che invece di fargli perdere lucidità gliela aumenta, lo illumina nella sua già vivacissima intelligenza :«Pane, latte, formaggio, la fame ridà il gusto dei cibi essenziali, così come la lontananza ridona il desiderio delle cose pure, eterne. Fame e sofferenza sono purificazione del palato e dello spirito, sono ritorno alle fonti della vita».
Oltre alla naturale capacità di comprendere il valore delle cose semplici e la grandezza di quelle spirituali, Guareschi trae vantaggio persino da privazioni così terribili e durature. Come è possibile se non grazie alla agognata capacità di saper stare con sé, di conoscersi, di proteggere gli sfortunati compagni di viaggio se non con un diario condiviso? Un diario che racconta persino la scoperta di un sasso con cui andare a spasso per il Lager per ingannare il nemico-tempo.
Chi legge trae forza e innumerevoli emozioni pregne di speranza da un prigioniero inerme ed esausto, ma tenace come non mai :«Io non muoio neanche se mi ammazzano».
Il diario clandestino di Giovannino Guareschi è una bussola per qualsiasi esistenza, è un riparo dall’intransigenza per ritagliarsi uno spazio di dignità :«C’era una volta la tovaglia ed era la bianca, nitida piazzetta nella quale si radunavano le mani di tutta la famiglia, e su di essa – esaurite dal breve volo – si posavano planando dolcemente a foglia morta, le parole più importanti di tutta la giornata. Poi alla fine, si spazzolavano via le briciole del cibo e le parole usate, e il rettangolo ripiegava il suo candore come un quinterno di libro in sedicesimo…Ma erano i tempi in cui (pur se non si poteva più dire pane al pane e vino al vino), la minestra si chiamava ancora minestra».
Chi legge impara il coraggio di sapersi conoscere e riconoscere, persino nel decadimento del corpo, negli stenti della denutrizione, nel dolore della solitudine :«C’era qualcuno che era prigioniero di me stesso. Stava chiuso entro di me come in uno scafandro, e io lo opprimevo con la mia carne e con le mie consuetudini…E vedevo i minimi dettagli e le piccolissime cose mai viste prima, come un mondo nuovo, e ogni cosa si completava di tutti i suoi particolari. E sentivo anche i minimi fruscii come se mi si fossero stappate le orecchie, e udivo voci, parole sconosciute, e mi pareva fosse la voce delle cose, ma era soltanto la mia voce. La voce del mio prigioniero. Mi volsi e vidi che ero uscito da me stesso e mi ero sfilato dal mio involucro di carne. Ero libero».
Gli Internati Militari Italiani abbandonati dalla Croce Rossa Internazionale, erano, inoltre, completamente all’oscuro di cosa stesse accadendo alle loro famiglie e in patria, questa costrizione all’ignoranza aumentava a dismisura la cappa di malinconia che mai piegò la volontà di Guareschi.
Nel 1949, tornato a casa, Giovannino intravvide un presagio di cosa accade oggi :«Noi abbiamo vissuto come bruti: costruimmo noi, con niente, la Città Democratica. E se, ancor oggi, molti dei ritornati guardano sgomenti la vita di tutti i giorni tenendosene al margine, è perché l’immagine che essi si erano fatti, nel Lager, della Democrazia, risulta spaventosamente diversa da questa finta democrazia che ha per centro sempre la stessa capitale degli intrighi e che ha filibustieri vecchi e nuovi al timone delle varie navi corsare».
Una cosa però rispetto ad oggi ancora esisteva, solida come il coraggio degli Internati, si chiamava Cultura :«Cambio “Divina Commedia” con romanzo qualsiasi…Cedo sigarette o tabacco per testo analisi matematica con elementi di geometria analitica (in francese). Capitano Birardi, baracca 29A…Cedo il capolavoro di Colerus “Matematica romanzata” per grammatica tedesca. St. Mazzei Rocco, baracca 25B…Cedo letteratura italiana in tre volumi “Vittorio Rossi” in cambio di sigarette o tabacco».
La Cultura, come si è sottolineato ultimamente, risulta, troppo spesso, non pervenuta! Mille volte grazie a Giovannino!