Passata la sbornia del “petaloso” e la sviolinata istituzionale al seguito della neolingua boldriniana, l’Accademia della Crusca torna a fare il suo mestiere. E lo fa con un documento (non un paper) nel quale mette in chiaro alcuni punti contro l’avanzata della terminologia anglosassone nel nostro linguaggio quotidiano. Se esiste una parola o un concetto di lingua italiana – è il ragionamento – perché usare l’equivalente in inglese?
di Nicola Mattei dal Primato Nazionale del 20 giugno 2016
Lo studio è condotto dal gruppo Incipit, che raccoglie numerosi linguisti, il quale ha stilato un dettagliato elenco degli anglicisi evitabili. “Nel sistema universitario italiano è presente una forte disponibilità a impiegare termini ed espressioni provenienti dal mondo economico per designare o descrivere momenti della valutazione relativi alla didattica e alla ricerca, o per indicare fasi burocratico-organizzative previste nella vita ordinaria dell’istituzione”, spiegano gli studiosi della Crusca. E’ per questo che segnalano “l’esistenza di vari equivalenti italiani perfettamente adeguati, i quali eviterebbero di accentuare quell’immagine aziendalistica dell’università che sembra oggi imperante, ma che in realtà non riscuote consensi incondizionati”.
Ecco allora il parametro al posto del benchmark, lo strumento al posto del tool, l’analisi preliminare o a tavolino invece dell’analisi on desk. Seguono la customer satisfaction che trova espressione in italiano con soddisfazione del cliente, il debriefing traducibile senza perdita di significato con resoconto, idem per l’executive summary che non è altro che la sintesi. Perché poi parlare di valutazione della performance quando ci si può riferire alla valutazione dei risultati? E ancora: abstract si dice sommario, il feedback è la stessa cosa del resoconto, la deadline non è altro che il termine ultimo. Come detto, l’attenzione dei linguisti della Crusca è rivolta soprattutto a vocaboli di derivazione aziendale, abbondantemente usati (se non abusati) in particolar modo nell’ambito universitario. Il gruppo Incipit invita così “a riflettere sul rischio che questa fitta terminologia aziendale anglicizzante venga applicata in maniera forzosa e sia esibita per trasmettere un’immagine pretestuosamente moderna dell’istituzione universitaria, lasciando credere agli utenti e agli operatori professionali che i termini tecnici inglesi siano privi di equivalenti nella lingua italiana, cosa che appare falsa”.