Ius soli retroattivo a Zagabria, dove una dozzina di italiani (più vari serbi, sloveni e austro-tedeschi anche celeberrimi, come vedremo) sono stati “arruolati” come “grandi della storia CROATA”. É lo spettacolo a cui assistiamo alla grande mostra per il Trentennale dell’Indipendenza, presso il Padiglione Meštrović della capitale. La mostra è dedicata a 38 «grandi personaggi croati che hanno cambiato il mondo». Li hanno scelti, affermano i curatori, «perché di origini croate, oppure perché sono nati o hanno operato nei territori dell’odierna Croazia considerata la loro patria».
Ebbene, è il caso d’andare a vedere chi sono alcuni di questi “grandi croati”. Fra i quali troviamo almeno una dozzina di istriani e dalmati la cui identità nazionale è al massimo ambigua. Quella è sempre stata una terra di confine – ed è oggettivo – in cui il plurilinguismo la faceva da padrone. Ma non è possibile dimenticare che la lingua corrente è stato l’italiano almeno fino a metà ottocento, e accanto a essa convivevano dialetti latini e slavi. Chi era alfabetizzato era senz’altro italofono (non per forza di etnia italiana, ma senz’altro di lingua italiana) e solo dall’occupazione asburgica inizia a comparire il tedesco accanto all’italiano come lingua corrente. Le lingue slave fino a metà ottocento erano per lo più vernacoli. In certi casi – come in quello del ciacavo, uno dei tre dialetti del croato – strutture grammaticali slave con grosse fette di vocabolario prese da latino, veneto e italiano.
Andiamo dunque ad analizzare i personaggi che Zagabria pretende siano considerati “croati”.
Marco Polo
Il primo nome è una bomba: Marco Polo (1254 -1324). Il grande viaggiatore veneziano, uno dei primissimi italiani ad aprire le vie dell’esplorazione del mondo extra-europeo, è da anni considerato “croato”. Motivo? Una mai provata nascita a Curzola (che, comunque, nel 1254 era saldamente della Serenissima). Marco Polo “croato” è un vero e proprio scippo storico, con tanto di fasulla “casa natale” dell’esploratore sull’isola di Curzola. Tuttavia nonostante smentite anche da parte di accademici croati a questa fantasiosa tesi, lo sciovinismo di Zagabria non molla l’osso.
San Girolamo
Sofronio Eusebio Girolamo (347-419/420) è considerato «croato» solo perché nato in un paesino dell’allora Illiria romana, Stridone. Fra i Padri della Chiesa, Girolamo è il traduttore in latino delle scritture in greco e in ebraico. Inutile aggiungere che il Santo non poteva avere alcun legame di sangue né linguistico con i croati, essendo vissuto circa tre secoli prima dell’arrivo del primo slavo nella regione.
Papa Sisto V
San Girolamo ci porta direttamente al prossimo personaggio, considerato “croato” probabilmente solo perché durante la sua carriera ecclesiastica ha avuto la carica di Cardinale Presbitero di san Girolamo degli Schiavoni, chiesa romana patrona dei croati (croati e schiavoni sono sinonimi). Parliamo del marchigiano Felice Piergentile più noto come papa Sisto V (1521-1590).
Ruggero Boscovich
Nel palmares dei «croati» finisce un buon numero di dalmati, in particolare di ragusei. Ragusa è una delle città più di confine: comune italiano vissuto in concorrenza con Venezia (che la occupa fra XIII e XIV secolo, plasmandone le istituzioni), Ragusa è considerata la “Quinta repubblica marinara”. Tuttavia è oggettivamente una città dalle molte identità, in cui convive l’elemento italiano (peraltro, un italiano non veneziano, proprio per la rivalità con la Serenissima) della classe dirigente con quelli slavi (croato, serbo, bosniacco, montenegrino) e balcanico in genere (morlacco, valacco, greco, armeno e albanese). Alla fine del 1500 e poi nel secolo successivo Ragusa subisce due devastanti terremoti. La città non si riprese mai più da questi due colpi e lentamente l’elemento italiano venne soverchiato da quello slavo, nonostante la perfetta convivenza dei due. Quando Napoleone pone fine alla vita millenaria della repubblica marinara, fra 1804 e 1806, a Ragusa l’italiano è ancora la lingua ufficiale, anche se gran parte della popolazione parla comunemente le lingue slave.
Figli di questa città di confine, moltissimi ragusei possono essere considerati tanto italiani quanto slavi. E fra questi il più celebre è senz’altro l’astronomo e matematico Ruggero Boscovich (1711-1787) nato a Ragusa da madre italiana e padre bosniaco, a 14 anni si trasferì in Italia. Boscovich, che fu un prete cattolico, è uno dei più grandi intellettuali del suo tempo: matematico, astronomo, uomo di fede e di scienza. Era senz’altro bilingue (parlava anche in serbocroato, ma in famiglia prediligeva l’italiano), scrisse la gran parte delle sue opere scientifiche in latino – lingua della scienza d’allora – ma anche in italiano e in francese. Nella sua corrispondenza con Voltaire, il filosofo gli scriveva in italiano. Fece parte dell’Accademia dei Quaranta, altrimenti detta Società Italiana. E’ interessante che anche i serbi considerano Boscovich come un “loro” scienziato, poiché suo padre era di origine serba. Boscovich preferiva definirsi “dalmata”, rivendicando dunque un’origine regionale più che nazionale (un atteggiamento dunque molto… italiano!). Va altresì notato che dei suoi cinque fratelli, due – Anna e Pietro – furono buoni poeti slavi, mentre un altro – Bartolomeo – fu studioso e poeta, ma di lingua italiana.
Benedetto Cotrugli
Benedetto Cotrugli (1416-1469), anch’egli raguseo, fu mercante e diplomatico nonché economista ante litteram. A differenza di Boscovich, la cui natura ibrida italo-slava è oggettiva, Cotrugli è un ennesimo caso di scippo a tutti gli effetti, poiché per tutta la sua vita egli scrisse e si espresse in italiano: si firmava Benedetto Cotrugli o Benedictus Cotrullus (o de Cotrullis) e il nome slavo – Benedikt Kotruljević – sarebbe ai fatti un’invenzione ottocentesca.
Giorgio Baglivi
Un altro raguseo è l’anatomista Giorgio Baglivi (1668-1707). Il nome originale era Giorgio Armeno, perché secondo alcuni storici il padre apparteneva a quell’etnia, mentre la madre, Anna de Lupis, era italiana. Rimasto orfano si è trasferito in Puglia, dove fu adottato dal medico Pietro Angelo Baglivi, che gli diede il suo nuovo cognome. Fu uno dei più grandi medici del suo tempo ma esercitò sempre e solo in Italia ed Europa occidentale e scrisse tutte le sue opere in latino. Nondimeno i croati lo considerano il padre della scienza medica del loro paese…
Marino Ghetaldi
Il matematico Marino Ghetaldi (1568-1626) apparteneva anch’egli a una nobile famiglia ragusea. Tutte le sue opere furono scritte in latino e nulla autorizza a pensare che possa essere considerato un croato. Peraltro, non ci risultano attestazioni del suo nome slavizzato – Marin Getaldić – prima degli anni 40 del XIX secolo, ovvero quando la nascente identità nazionale croata iniziava a muovere i suoi primi passi. E a cercarsi qualche padre nobile…
Marco Marulo
Il poeta di Spalato Marco Marulo (1450-1524) è un altro caso di identità ambigua. I croati lo considerano «il loro Dante» solo perché non si è salvato quasi nulla della sua produzione in italiano, anche se Ariosto ebbe a definirlo “divino”. L’ipotesi più logica è quella di considerarlo un personaggio di confine, con un’identità nazionale non definita (anche perché l’identità croata nel 1500 semplicemente non esisteva, mentre quella italiana era già affermata). Sicuramente fu di famiglia nobile e il padre e i fratelli furono fedelissimi a Venezia. In ogni caso, il suo poema in “lingua illirica” come allora veniva chiamato il serbocroato di Dalmazia, è considerata un’opera insigne.
Fausto Veranzio
Non distante da Spalato, a Sebenico, è nato un altro letterato di cui i croati rivendicano la nazionalità: Fausto Veranzio (1551-1617). Veranzio fu vescovo di Csanád, linguista, storico e inventore (a lui si devono, fra le altre, il paracadute, il ponte strallato e quello sospeso). Poliglotta, parlava italiano, latino, tedesco, serbocroato e ungherese. Cesare Cantù nel suo “Storia degli Italiani” lo definisce “veneto di Sebenico”. Niccolò Tommaseo dice che Veranzio è stato dato “alla civiltà italiana”.
Giulio Clovio
Il miniaturista Giulio Clovio (1498-1578) è un esempio di identità incerta determinata dal predominio culturale italiano. Nato a Novi, in Dalmazia croata, il Vasari ci dice che i suoi genitori furono d’origine macedone. Con tutta probabilità dunque fu un “morlacco” o “valacco” di quelli fuggiti davanti all’avanzata dei turchi nei Balcani. Novi di Dalmazia era una città con una presenza veneto-italiana anche se non appartenne mai alla Serenissima. Tuttavia la predisposizione per le arti fecero sì che l’Italia divenisse la mecca di Clovio. Studiò con Giulio Romano e lavorò per i Contarini e soprattutto per i Farnese. Fu il protettore del pittore spagnolo El Greco. Considerato uno dei più eminenti minatori della sua epoca, anche se spesso definito “croato” o “illirico” (così per esempio sulla sua tomba) o “macedone”, non c’è dubbio che trascorse tutta la vita nell’ambiente culturale italiano, facendone parte appieno. E’ molto triste che la pagina di Wikimedia Commons con le sue opere riporti il nome tradotto in croato – Julije Klović – nonostante egli per tutta la vita si fosse firmato col suo nome italiano e la forma slavizzata del suo nome sia una recente creazione.
Andrea Meldolla
Il pittore dalmata Andrea Meldolla (1510-1563) è un altro esempio di come lo ius soli non si possa facilmente applicare a quelle terre. Sebbene nato a Zara (altri dicono a Sebenico) era di famiglia romagnola. Per tutta la vita fu tuttavia soprannominato “Lo Schiavone” proprio perché nato in Dalmazia, nonostante le origini italiane e la carriera tutta percorsa in Italia. Anche in questo caso il nome “Andrija Medulić” è un’invenzione moderna di metà ottocento.
Francesco Patrizi
Il filosofo Francesco Patrizi (1529-1597) era invece nato a Cherso. Le scarne informazioni biografiche su di lui derivano da una lettera scritta (in italiano) di suo pugno: la sua famiglia sarebbe in parte d’origine bosniaca, scampata all’avanzata turca. Tuttavia fin da bambino imparò a leggere, presumibilmente in italiano. Conosceva comunque il croato, perché fu membro della confraternita di San Girolamo di Roma, cui potevano accedere “illirici, dalmati e schiavoni”. In ogni caso, visse e lavorò in Italia e scrisse le sue opere in italiano e latino e il nome croato appare essere l’ennesima traduzione moderna.
Giovanni Biagio Luppis
Giovanni Biagio Luppis (1813-1875), inventore del siluro era invece nato a Fiume quando la città era parte dell’impero napoleonico. Fu tuttavia fedele suddito dell’impero austriaco (e poi austroungarico) a cui Fiume tornò col congresso di Vienna. I suoi genitori erano rispettivamente originari di Parenzo – il padre – e Ragusa – la madre. Ufficiale di Marina, per i suoi servigi e le invenzioni fu creato barone nel 1869 col titolo di “Von Rammer” (dell’Affondatore). Di lingua e cultura italiana, ma leale militare asburgico, è morto a Milano, dove è sepolto.
Appendice: altri “scippati”
Fra i personaggi che Zagabria considera «croati» compaiono anche personaggi di grande importanza storica. Che tuttavia non hanno di “croato” che l’attuale localizzazione geografica del loro ruolo di nascita.
Il primo “croatizzato” è il filosofo Rudolf Steiner (1861-1925) fondatore dell’Antroposofia. Di famiglia e cultura tedesca, visse per tutta la vita fra Austria, Germania e Svizzera, dove morì ed è sepolto. Tutta l’opera di questo grandissimo pensatore a cavallo fra i due secoli è scritta in tedesco.
C’è poi il pioniere dell’esplorazione spaziale Herman Potočnik (1892-1929). Nato a Pola da famiglia slovena, crebbe e visse sempre in Austria. Fu ufficiale geniere dell’esercito Imperiale-e-Regio e nella sua unica opera è scritta e firmata con lo pseudonimo tedesco con cui è conosciuto universalmente, Hermann Noordung: in questo trattato – “Das Problem der Befahrung des Weltraums – Der Raketenmotor” (“Il problema della navigazione dello spazio – Il motore a reazione“) – lanciava l’idea della stazione spaziale (in particolare della stazione a ruota, con cui avere gravità artificiale grazie alla forza centrifuga della rotazione) e il satellite geostazionario.
Infine, non poteva non esserci il fisico e inventore Nikola Tesla (1856-1943), nato a Smiljan, un villaggio della Craina croata all’epoca abitato da popolazione serba. La sua famiglia era ortodossa. Nel 1891 Tesla ottenne la cittadinanza statunitense dopo essere emigrato oltreoceano.
Addendum
La Croazia fa il mestiere suo: piccola nazione quasi senza una storia autonoma (un piccolo regno indipendente per qualche decennio a cavallo dell’anno Mille, poi una banovina ungherese, terra di confine militare austriaco, infine parte della Jugoslavia e – a parte la parentesi del Regno di Croazia paveliciano – soli 30 anni d’indipendenza) cerca giustamente i suoi padri nobili. Lo fa forzando la storia, certamente, ma non diversamente da come l’hanno fatto altre nazioni, compresa la nostra, quando arruolano indiscriminatamente nel passato.
Ma il vero torto non è di chi si piglia qualcosa, ma di chi l’abbandona. E dobbiamo allora chiederci perché l’Italia ha praticamente rinunciato a difendere il suo buon diritto su questi personaggi, come il caso di Wikipedia – dove la lobby croata impera – dimostra. Guai ai vinti, ma peggio ancora guai a chi si dà per vinto.