Dieci anni di lavori ad alto rischio in Montenegro per bonificare le Bocche di Cattaro dagli ordigni della Seconda guerra mondiale buttati in mare diventano un documentario, «Cacciatori di mine», Cappellano e Cappabianca, che vince quello che è considerato il “nobel del mare”.
di Maria Laura Crescimanno dal corriere della sera del 23 novembre 2015
La storia delle mine subacquee corre senza interruzioni dai primi dell’Ottocento ai giorni nostri e percorre le coste del Mediterraneo, in particolar modo le regioni balcaniche, dove ci si liberava degli ordigni inesplosi gettandoli in mare. Una pratica folle per cui anche a guerra finita, le mine, pur incrostate da ruggine e organismi viventi e abbandonate sui fondali, continuano a costituire un pericolo: è molto difficile stabilire se gli ordigni e le cariche esplosive con il tempo abbiano perso il loro potenziale esplosivo. Salvo alcune eccezioni, è raro che i governi si facciano carico di eliminare il pericolo. Disinnescarle, soprattutto dai fondali marini, richiede infatti costi altissimi, tecnologie e professionalità altamente specializzate.
Dieci anni di lavoro
Nel Mediterraneo chi da anni lavora per rendere sicuri coste e fondali. Come in Montenegro, a Bijela (all’epoca del dominio veneziano si chiamava La Bianca o San Pietro de Albis), dove si trova, nascosto in quello che da alcuni è ritenuto il fiordo più meridionale d’Europa, il Centro regionale per l’addestramento e lo sminamento subacqueo (Rcud). Qui, nelle acque delle Bocche di Cattaro, tra fiordi di spettacolare bellezza e montagne, un gruppo di esperti sommozzatori da dieci anni lavora per disinnescare gli ultimi ordigni della guerra: proiettili e granate lasciate dagli italiani nel 1943. La tecnica è quella di individuarli, allontanandoli dalle coste verso il largo e, nonostante i rischi altissimi, lasciarli esplodere. In 605 ore di immersioni, sono stati recuperati 1.423 ordigni per un totale di 65 tonnellate di materiale, di cui 10 tonnellate di tritolo.
Il premio
Ed è qui che due documentaristi italiani, Pippo Cappellano e la moglie Marina Cappabianca, sono andati per la prima volta dieci anni fa a documentare e raccontare la storia della squadra di sminatori internazionale seguendo con la telecamera subacquea le operazioni ad alto rischio per la vita stessa degli operatori coordinati dal team di sommozzatori del Montenegro. L’Accademia internazionale di scienze e tecnologie subacquee ha assegnato al direttore del centro del Montenegro Jarrod Jablonsky il premio Tridente d’oro 2015 e l’Academy Awards, considerati il «Nobel del mare», per il valore del lavoro di sminamento e sicurezza del mare svolto in questi anni.
Riprese ad alto rischio
«Siamo stati ammessi a partecipare con le nostre attrezzature da ripresa ad alcune missioni ad alto rischio in Montenegro», spiega Cappellano. «Per esempio la localizzazione di una mina sferica della seconda guerra mondiale e il suo delicato trasferimento in acque lontane da centri abitati per essere fatta brillare in sicurezza, oppure il recupero di oltre mille granate inesplose in una zona balneare. Ne è nato il documentario «Mine Huntes», Cacciatori di mine, che speriamo riporti all’attenzione un tema forte, quello della sicurezza dei nostri mari. Oggi, la necessità di rendere sicure le coste balcaniche, di forte richiamo turistico, ha riavvicinato le diverse comunità locali, coinvolgendo Stati Uniti, Unione europea e le Nazioni Unite nel sostegno di un intervento di bonifica urgente che ha già dato i suoi frutti».