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Kissinger boicottò gli sforzi di Carter per bloccare i massacri di Videla


Nei documenti diffusi dal Guardian la posizione del segretario di stato americano sul regime che fece sparire 30.000 oppositori. Il suo rapporto con i generali argentini non era una novità: aveva già incoraggiato la giunta militare a schiacciare i «terroristi». Ma nel 1978 non aveva più nessun incarico politico
di Silvia Morosi dal Corriere della Sera del 11 agosto 2016
Jorge Videla, il dittatore dei 30.000 desaparecidos, non sfugge alla categoria arendtiana della «banalità del male». Il tenente generale che guidò la giunta militare argentina negli anni ‘70 (tutto comincia nel 1976 quando un colpo di stato depone la presidente Isabelita Peròn) mise metodicamente in atto un sistematico piano genocidiario, tendente al sequestro di persona, al furto di ogni bene mobile e immobile delle sue vittime, all’assassinio e alla sparizione delle persone. Non agiva da solo, molti sapevano. Tra questi anche Henry Kissinger, il Grande Vecchio della diplomazia statunitense, che «danneggiò i tentativi dell’amministrazione di Jimmy Carter nel contenere la furia assassina del regime argentino, andando a Buenos Aires a parlare in termini positivi della politica contro il terrorismo del generale Jorge Videla (morto nel 2013) e facendo così infuriare Washington». La rivelazione è stata fatta sulle pagine del Guardian, grazie a una serie di nuovi documenti, dossier finora segreti, declassaficati lunedì 8 agosto (qui vi abbiamo raccontato le ultime condanne per l’operazione Condor).
L’Argentina tra mondiali e violenze
Era il 1978 e il regime militare si autocelebrava ospitando i Mondiali di calcio. Videla, che aveva preso il potere da due anni, non avrebbe mai potuto accettare, esattamente come Mussolini 44 anni prima, un risultato diverso dalla vittoria. Il torneo venne vinto dai padroni di casa che il 25 giugno 1978 sconfissero per 3-1 i Paesi Bassi dopo una drammatica partita terminata ai tempi supplementari. Kissinger non si fece alcun problema ad accettare l’invito personale di Videla e si recò nel Paese. Il suo rapporto con i generali argentini non era una novità: già da segretario di Stato aveva incoraggiato la giunta militare a schiacciare i «terroristi». Ma nel 1978 non aveva più quell’incarico e due anni prima Gerald Ford era stato sconfitto dal democratico Carter, che aveva come capo del Consiglio di sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski. L’approccio di quell’amministrazione al tema del rispetto dei diritti umani era ben più attento. Durante la visita Kissinger lodò apertamente Videla. In uno dei cablo trasmessi dai diplomatici americani a Washington si legge: «Il suo apprezzamento per il governo argentino nella campagna contro il terrorismo è stata la musica che il governo argentino da lungo avrebbe voluto ascoltare». E un altro diplomatico, in un rapporto, racconta come «Kissinger ha applaudito gli sforzi dell’Argentina nella lotta al terrorismo» e si è lamentato del fatto che «molti americani considerino l’Argentina come un soft drink….non sono consapevoli della storia dell’Argentina e della sua lotta al terrorismo».
Videla e «un lavoro eccezionale contro il terrorismo»
Kissinger ebbe anche un incontro privato con Videla, a cui non prese parte l’ambasciatore Usa a Buenos Aires — il cui nome era, ironicamente, Raùl Castro — e, in quell’occasione fu discussa la questione dei diritti umani. «Videla l’organizzò in modo che Kissinger e l’interprete potessero incontrarlo privatamente, mezz’ora prima l’arrivo dell’ambasciatore». In un altro appuntamento a porte chiuse con il Consiglio argentino delle relazioni internazionali, un gruppo di diplomatici argentini conservatori, l’ex segretario di stato di Richard Nixon fu ancora più chiaro. «Secondo me il governo dell’Argentina ha fatto un lavoro eccezionale nella distruzione delle forze terroriste». L’ambasciatore inviò un lungo rapporto in cui parlava con estrema preoccupazione delle dichiarazioni di Kissinger. «C’è il pericolo che gli argentini possano usare le dichiarazioni di lode come giustificazione per peggiorare ulteriormente la posizione sui diritti umani», scrisse il diplomatico.
Carter e la richiesta di intervento al Vaticano
E a Washington s’infuriarono. «Quello che mi preoccupa — scrisse Robert Pastor del Consiglio di sicurezza nazionale — è il suo apparente desiderio di parlare contro la politica dei diritti umani dell’amministrazione Carter». I documenti desecretati dimostrano anche che Carter considerò la possibilità di chiedere a papa Giovanni Paolo II d’intervenire sulla giunta militare. Un lungo cablo confidenziale del settembre 1980 ai diplomatici a Roma segnala che «il Vaticano potrebbe essere il più efficace avvocato» presso le autorità argentine dei desaparecidos. Il documento tuttavia non rivela se ci fu un approccio al Vaticano. Il ruolo della Chiesa cattolica durante la repressione argentina è ancora considerata una pagina nera della sua storia.
Archivi aperti e mea culpa
Papa Francesco ha manifestato già dal 2015 (anche dopo l’incontro con Lita Boitano, leader storico delle Madri di Plaza de Mayo) l’intenzione di aprire alla consultazione gli archivi vaticani relativi al tempo della dittatura in Argentina (1976-1983). Sono attualmente in corso i processi di declassificazione e catalogazione: una volta resi disponibili tali documenti, il contributo che ne scaturirà sarà immenso, sia dal punto di vista storico per la conoscenza degli eventi, sia dal punto di vista umano in quanto si verrà a conoscenza della sorte di tanti scomparsi. «Questo è il desiderio del papa, per cui ha chiesto alla Segreteria di Stato di incaricarsi di questo fatto. Il lavoro è già iniziato con la declassificazione degli archivi del Vaticano collegati alla dittatura argentina», disse monsignor Guillermo Karcher a Radio América di Buenos Aires il 27 aprile. Il Papa ha avuto un ruolo da protagonista in questa decisione, visto anche il suo impegno e coinvolgimento diretto nella vicenda argentina all’epoca dei fatti, quando era padre provinciale dei Gesuiti argentini. Al momento l’apertura dell’archivio vaticano riguarda solo la dittatura argentina e uruguagia. Ben presto però, potrebbero aggiungersi anche le altre nazioni latinoamericane coinvolte come Cile, Brasile, Perù, Bolivia e Paraguay, tutti paesi dove la violenza militare nei confronti della popolazione fu particolarmente efferata.

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