Le gaffe della destra non sono mai perdonate. Ma leggete quelle della sinistra
Alessandro Gnocchi da Il Giornale del 26 giugno 2024
Nessuno è immune dall’errore, dal lapsus, dalla dimenticanza magari momentanea. Lo sfondone diventa divertente, a volte preoccupante, quando capita a chi non perde occasione per dare dell’ignorante agli altri. Quindi quando capita alla sinistra e al suo esercito di intellettuali, scrittori, giornalisti.
Paolo Giordano è indicato come il promotore principale della lettera di protesta inviata da una quarantina di scrittori per denunciare il pugno di ferro (inesistente) del governo sugli inviti alla Buchmesse di Francoforte.
Qualche giorno fa, Giordano, molto pensoso, intervistava in un teatro milanese il premio Nobel della letteratura Jon Fosse, dicendosi molto colpito dalla espressione, a suo parere centrale nell’opera dello scrittore norvegese: «E cadde il silenzio». Fosse fa notare che si tratta della traduzione italiana, e che non userebbe mai un’espressione come quella, frusta e quindi retorica. E in platea cadde il silenzio, per davvero.
Roberto Saviano è presentato, per l’ennesima volta, come vittima del sistema, anche se l’iniziale mancato invito era dovuto al fatto che nessuno dei suoi editori aveva intenzione di presentarlo alla manifestazione tedesca. Quando arriva nelle redazioni un articolo di Saviano, si scatena la lotta per evitare di passarlo, cioè leggerlo e correggerlo. Gli errori sono così numerosi che può scappare un «qual’è» con l’apostrofo. Saviano poi interviene preoccupato per il «Maxi» ma il museo romano si chiama «Maxxi», «Maxi» è il cono gelato di una famosa ditta.
Antonio Scurati è preoccupato per la deriva autoritaria. Farebbe meglio a preoccuparsi degli strafalcioni storici che ha accumulato libro dopo libro, in particolare nel Rumore sordo della battaglia, ambientato a cavallo del XV e XVI secolo. Anacronistici dunque i riferimenti al ducato di Toscana, che inizia a metà del XVI secolo, e al tabacco, importato in Italia nel 1561. E lasciamo stare la prosa plumbea e involontariamente comica, vi concediamo solo un assaggio: «Il mio contatto diretto con la realtà finiva lì, in quel manubrio di bachelite chiuso nella solida renitenza delle cose inanimate» (Il bambino che sognava la fine del mondo). Il «manubrio di bachelite», in scuratese, sarebbe la forcella del telefono.
In quanto a «bella prosa» (si fa per dire) brilla anche l’onnipresente Nicola Lagioia che vinse il Premio Strega con La ferocia, libro ferocemente sgangherato. Qui ci vorrebbe una IA per districare la sintassi: «Ecco il suo problema: la concrezione di pazzi con cui la sorte voleva distoglierlo dall’unica attività che lo avrebbe reso libero, il tasto su cui battere fino a quando la particola di follia che in linea retta alimentava anche lui fosse diventata un nudo anello che non trasmette niente, lo studio, lo studio fanatico della medicina a cui si dedicava senza perdere un attimo».
Chiara Valerio forse vincerà lo Strega di quest’anno con Chi dice e chi tace. Se lo merita per le supercazzole da premio: «Mara era rimasta carsica» (carsica?); «Era di una cortesia marziale e un qualcosa di ondoso» (ondoso?); «Aveva un taglio di capelli educato ma ventoso» (educato ma ventoso?).
Gaffeur di tutto rispetto è Gianrico Carofiglio. Pochi giorni fa ha postato la seguente frase: «Questo l’avevo scritto cinque anni fa: Un ragazzo e una ragazza per strada. Lui: Ho il diritto di non votare. Lei: Non votare è impossibile. Si può votare votando oppure stando a casa e raddoppiando il voto di un fascista, di un razzista». Immediata la risposta del saggista Andrea Venanzoni: «Lei sa vero che la frase (salvo la chiosa finale antifascista) è di David Foster Wallace ed è tratta da un reportage pubblicato in Italia nel volume Considera l’aragosta?». Asfaltato. Sarà stata una citazione. Invece Corrado Augias ha copiato integralmente il finale del suo Disputa su Dio da La creazione, saggio di Edward Wilson, il biologo più famoso del mondo. Hanno continuato a invitarlo e riverirlo. A una grottesca dissertazione fiorentina, di recente, ha sbagliato a collocare la Crociata degli Albigesi di «soltanto» cinque secoli.
Il critico letterario Alberto Asor Rosa era considerato un luminare ma nella sua Storia europea della letteratura italiana confuse Curzio Malaparte con Curzio Maltese.
I giornalisti sono strepitosi. Imbattibile Massimo Giannini. Geografia: ha definito Smirne un piccolo borgo di pescatori in Grecia. Peccato sia un grande porto della Turchia. Storia: ha confuso il cavallo di Caligola con un esilarante cavallo di Catilina. Letteratura: ha scritto che l’autore de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde è Edgar Allan Poe, peccato sia il capolavoro di Robert Louis Stevenson.
Eugenio Scalfari, l’ateo affascinato dal divino, l’amico di Bergoglio, l’esperto di economia e Sacre scritture, sbagliò il numero degli Apostoli, aggiungendone uno (forse il tredicesimo era il Fondatore stesso) e perfino quello dei Vangeli sinottici, anche qui aggiungendone uno (sono tre: Matteo, Marco e Luca).
In televisione non va meglio. Giovanna Botteri ha inanellato le migliori gaffe, da Oslo capitale della Svezia, a Jfk ucciso a colpi di pistola (anche i bambini sanno che fu abbattuto a fucilate).
Gramellini, su La7, ospite di Giovanni Floris a Dimartedì, ha eletto il personaggio dell’anno: «Malala, la ragazza uccisa perché andava a scuola». Tutto sbagliato. Malala Yousafzai, pakistana, premio Nobel per la pace nel 2014, per fortuna è viva dopo essere scampata a un attentato talebano nel 2012 per il suo impegno a favore dell’emancipazione femminile nei Paesi islamici. Ma almeno Gramellini ebbe l’onestà di ammettere subito l’errore e di correggersi.
Tra i politici, menzione d’onore per Enrico Letta. Nel 2013, in visita in una scuola in qualità di premier, spiegò che quando egli era un alunno, negli anni Settanta, «eravamo tutti bianchi, direi quasi ariani». Ariani, certo. In seguito elesse Claudio primo imperatore «straniero» di Roma, sottinteso: viva l’immigrazione. La dinastia Giulio-Claudia è una delle più antiche di Roma e Claudio nacque per caso fuori dalla penisola al seguito del padre impegnato in una campagna militare. Fu comunque educato e cresciuto a Roma. Su Beppe Grillo e i suoi sfondoni economici si potrebbe scrivere un libro. Citiamo Filippo Facci: «Beppe Grillo ha detto che L’Italia è come un cammello, nelle gobbe non ha più acqua. Ma i cammelli, a essere precisi, nelle gobbe non hanno acqua, hanno grasso: l’acqua la conservano nel corpo e nel flusso sanguigno. E comunque, sul suo blog, ha messo la foto di un dromedario».