di Annalisa Terranova da Il Secolo d’Italia del 15 aprile 2024
All’Istituto Centrale per la Grafica a Roma è aperta la mostra su Giovanni Gentile, a 80 anni dalla morte. Ci sono molte foto, insieme a documenti e filmati, per raccontare un filosofo tra i più rappresentativi non del fascismo ma dell’intero Novecento in tour per le scuole e gli istituti d’Italia. Un percorso articolato in tre sale per rendere conto della complessa e molteplice azione di politica culturale intrapresa nel corso della sua esistenza. C’è anche un’aula scolastica del suo tempo con la lavagna dove si celebra la bandiera italiana.
Il titolo della mostra (“Scendere per strada. Giovanni Gentile tra cultura, istituzioni e politica“) riprende la frase di un discorso del filosofo ucciso dai gappisti il 15 aprile del 1944. Eccola: «Quando tutti gli italiani saranno scesi in strada e penseranno e rifletteranno senza sentire più la tentazione di tornare alla finestra, l’italiano comincerà ad essere quel gran popolo che deve essere». Un invito a partecipare alla vita nazionale da parte di un popolo consapevole della propria storia.
Le foto e la documentazione esposte ricordano al visitatore (fino al 7 luglio la mostra sarà aperta) chi era Giovanni Gentile. “Un uomo – ha scritto Luigi Mascheroni – che oltre a varare la più importante riforma della Scuola del nostro Paese (fu ministro dell’Istruzione fra il 1922 e il 1924), promosse e diresse istituzioni come l’Enciclopedia Italiana, il Centro Studi Manzoniani, l’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO), l’Istituto italiano di Studi germanici (che dovevano contribuire ad allargare gli orizzonti del sapere al di fuori dei confini nazionali per sprovincializzare la cultura italiana) e poi la Scuola Normale Superiore di Pisa dove Gentile passò prima come studente e poi come direttore, e l’Accademia Nazionale dei Lincei”.
A sua volta Alessandro Campi, presentando la mostra voluta dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ricorda che il migliore antifascismo italiano si è formato nel segno del gentilianesimo. Non va dimenticato infatti che risale al 1899 il saggio di Gentile La filosofia di Marx che venne considerato dallo stesso Lenin uno degli studi più interessanti e profondi sull’essenza teoretica del pensatore di Treviri. Del marxismo Gentile respingeva il materialismo ottocentesco ma ne abbracciava con entusiasmo la dimensione “moderna” di “filosofia della prassi”, tesa non solo a interpretare il mondo ma a “trasformarlo”.
Di tutto questo poco è rimasto dopo il ’45 e la conseguente rimozione-epurazione della presenza di Gentile nella cultura italiana. Almeno fino alla pubblicazione nel 1989 di Giovanni Gentile filosofo europeo di Salvatore Natoli e dell’opera postuma di Augusto Del Noce dedicata al filosofo di Castelvetrano e pubblicata nel 1990. E a destra?Come si legge nello studio di Rodolfo Sideri Con Mussolini e oltre. Giovanni Gentile da Marx alla destra postfascista (Edizioni Settimo Sigillo, prefazione di Giuseppe Parlato) nel Msi Gentile era più rispettato ed evocato per il suo sacrificio personale e per il suo assassinio “eroico” per mano partigiana che per l’approfondimento del suo pensiero.
Ma nella stampa dell’epoca i richiami a Gentile sono numerosi. A cominciare dal Secolo d’Italia, fin dalla fondazione e ben prima di diventare nel 1963 l’organo ufficiale del Msi. Già nel dicembre ’53, si lamentava sulle sue pagine la dimenticanza dell’analisi gentiliana della filosofia di Marx. Era il primo articolo dedicato dal quotidiano al filosofo ad opera del caporedattore Giuseppe Dall’Ongaro. Che, un anno dopo, torna sul filosofo in occasione del primo decennale della sua morte. Nel ’53, del resto, il giornale aveva inviato un intellettuale come Pacifico D’Eramo al Congresso di Filosofia di Bologna per verificare la presenza viva dell’attualismo nel dibattito filosofico italiano.
Per non dire degli articoli sul tema del filosofo Edmondo Cione. Nel 1954, in convegni accademici e non, intervennero figure come Ernesto Massi, Aniceto Del Massa (responsabile Cultura del Secolo), Lorenzo Giusso, Giuseppe Saitta, Nino Tripodi… Il livello teorico è alto e adeguato al dibattito. Ma via via si verifica uno scivolamento retorico e sentimentale che prevale sulla riflessione filosofica. Così, con Primo Siena, Gaetano Rasi e altri pubblicisti e studiosi di Gentile inizia una lettura centrata soprattutto sulla sua conciliazione col cattolicesimo e sulla dimensione sociale del suo ultimo libro, Genesi e struttura della società e del cosiddetto “umanesimo del lavoro”.
Gentile filosofo puro è richiamato come tale da Marcello Veneziani: “Con Giovanni Gentile finì la grande filosofia italiana. Dopo di lui o non fu grande, o non fu vera filosofia, o non fu italiana. La grande filosofia italiana finì con lui. Dico la filosofia di Vico, e prima di Vico il pensiero di Bruno, Telesio e Campanella, dopo Vico di Rosmini e di Gioberti; ma anche la filosofia di Dante e di Leopardi. Dopo Gentile la filosofia rielaborò il lutto della sua stessa morte, dopo averne decretato l’agonia e poi annunciato la sua scomparsa. Dopo Gentile l’idea che la filosofia ricercasse la verità e che anzi la verità stessa sgorgasse dal processo attivo del pensiero, scomparve del tutto”.
Il ministro Sangiuliano ha chiarito che “Giovanni Gentile è stato riconosciuto da autorevoli studiosi uno tra i più importanti filosofi europei del Novecento, insieme a Benedetto Croce. La sua è un’elaborazione teorica che offre ancora oggi spunti, dal richiamo al Risorgimento oppure come quando nel saggio postumo ‘Genesi e struttura della società italiana’ individuò il valore della comunità. La stessa scelta del titolo indica una visione: ‘Scendere in strada’ è un motto che lo stesso Gentile adoperò per esortare gli intellettuali a proporre la cultura tra la gente”.