«Uccidimi o prendimi come sono, perché io non cambierò», scriveva nel 1783 il carcerato Marchese De Sade a sua moglie. Non aveva mezze misure l’inarrestabile libertino, condannato a molti anni di galera ma incapace di ritrattare sui suoi gusti e sui suoi principi. Qualsiasi negazione della sua natura, per il marchese, equivaleva alla morte.
Jason Farago per “BBC” – traduzione su Dagospia dell’8 ottobre 2014
Sade è un autore riscoperto ma ancora frainteso. C’è l’opportunità di comprendere meglio questa controversa figura che ha influenzato la cultura europea, attraverso due mostre a Parigi. A fine mese al “Musée d’Orsay” apre “Sade: Attaquer le soleil”, mentre, lì a due passi, il “Musée des Lettres et Manuscrits” ha già inaugurato “Sade – Marquis de l’ombre, prince des Lumières”, che raccoglie i suoi libri e manoscritti, incluso quello di “Le 120 giornate di Sodoma”, scritto mentre scontava la pena nella Bastiglia.
Il prossimo dicembre si celebrano i 200 anni dalla morte dell’autore, che fu sia figura dell’Illuminismo (ammirava Rousseau) sia colui che si ribellò al primato della ragione e della razionalità sull’istinto. Nato nel 1740, era una personalità complessa. Aristocratico ma sostenitore della rivoluzione francese, scrittore di oscenità ma anche di opere convenzionali.
Naturalmente preferiva forme di rapporto sessuale particolari, al punto che esistono pratiche che portano il suo nome (sadismo). Eppure, come Voltaire e Rousseau prima di lui, i suoi romanzi offrivano una duplice lettura: intrattenevano ed erano trattati filosofici. Anche al massimo dell’oltraggio, Sade non era uno scrittore pornografico. “Le 120 giornate di Sodoma”, pure con la sua lunga lista di sanguinamenti e morte, non mira assolutamente a stimolare sesso. Il suo miglior romanzo, “Justine”, non scandalizzò la società francese per gli eccessi pornografici ma per la sua cupa visione morale, dove abusare di altre persone non solo è accettabile ma addirittura virtuoso.
La vera moralità per Sade era seguire le passioni più oscure e distruttive fino al limite, anche a costo della vita. Era fervidamente contro la pena di morte, ma non contro l’omicidio: uccidere qualcuno per passione era un conto, innalzare l’omicidio a legge era barbarico. Per lui, i desideri più crudeli e vili, non erano aberrazioni, ma aspetti intrinsechi alla natura umana. La nobiltà è una frode ma la crudeltà è naturale. L’immoralità è l’unica moralità, il vizio è l’unica virtù.
Sade non si limitò a scrivere di eccessi. Lui visse di eccessi. E per questo trascorse un terzo della sua vita in prigione. I suoi libri furono banditi subito dopo la sua morte, ma la sua visione continuò a diffondersi. Solo verso la fine del diciannovesimo secolo le sue opere vennero riscoperte. Per molti lettori questa fu l’opportunità per accreditare alcune loro indulgenze sessuali, ma per gli scrittori della sua epoca, Sade fu molto di più: era il filosofo di un mondo che si era capovolto.
E’ innegabile la sua influenza sui pittori Goya, Delacroix, sugli scrittori Baudelaire, Apollinaire, Mann, sui registi Pier Paolo Pasolini e Nagisa Oshima. Ed è difficile pensare a un Sigmund Freud senza Sade, il quale aveva piazzato la libido al centro dell’uomo con un secolo di anticipo. Sade si ritrova ovunque eppure ancora ci fa paura. Perché? Perché in lui si fondono corpo e mente e la ragione è subordinata agli impulsi più profondi e più spaventosi. Non rappresenta la libertà, rappresenta l’estremismo. E’ il profeta di un mondo che supera i suoi limiti, e in un mondo che si sta spingendo al collasso economico, politico, ecologico, la sua oscura visione dell’umanità ci sembra spaventosamente credibile.