di Davide Bartoccini da Il giornale dell’8 aprile 2021
Una fortezza perduta nel deserto e un suicidio di massa celebrato nella storia popolare israeliana: si tratta di verità o leggenda? Ancora oggi gli storici sono divisi.
Masada, antichissima e inespugnabile fortezza che ancora oggi troneggia nel deserto a sud di Gerusalemme, è stata considerata per millenni simbolo della resistenza eroica. Una Amba Alagi ebraica, che vide assediati un manipolo di ribelli ebrei decisi a non arrendersi alle centurie romane partite per conquistare l’ultima roccaforte della Giudea.
Questa è la storia, o almeno è la storia tramandataci da Flavio Giuseppe, comandante dell’esercito romano di origine israelita che prese parte alla Prima guerra giudaica e della Grande rivolta ebraica e che ha narrato nelle sue memoria la strenua difesa di Masada: cittadella fortificata da Erode, che si ergeva su un altopiano a circa 400 metri. Una roccaforte difesa da spesse mura perimetrali disseminate di torri, la cui entrata era raggiungibile solo da uno stretto passo soprannominato “sentiero del serpente”.
Secondo la narrazione, dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. vi si rifugiarono 967 sicarii, ebrei estremisti che non volevano sottomettersi ai romani. Guidati da Elazar ben Yair, gli insorti avevano condotto una sanguinosa campagna di guerriglia, ricorrendo sistematicamente all’omicidio “terroristico” contro gli emissari dell’Impero Romano, (qualcosa che riecheggia nei tempi odierni), rappresentando l’ultimo manipolo di ribelli della provincia. Per tale motivo Lucio Flavio Silva, comandante della X legione “Fretensis”, decise di muovere l’assedio, e porre fine alla resistenza israelita.
L’assedio, almeno secondo quanto riportato da Flavio Giuseppe, sarebbe durato addirittura anni, concludendosi nel 73 con il suicidio di massa di tutti gli uomini, le donne e i bambini che non intendevano arrendersi ai soldati dell’imperatore Vespasiano.
“Dato che molto tempo fa abbiamo deciso di non essere mai servi dei romani, né di nessun altro che di Dio stesso, che solo è il vero e giusto Signore dell’umanità, è giunto il momento che ci obbliga a realizzare tale risoluzione nella pratica. Siamo stati i primi che si sono ribellati, e siamo gli ultimi a combattere contro di loro; e non posso che stimarlo come un favore che Dio ci ha concesso, che è ancora in nostro potere morire coraggiosamente, e in uno stato di libertà”. Queste le parole del condottiero dei sicarii Elazar ben Yair mentre esortava i suoi seguaci a compiere il massimo sacrificio. “E così, mentre accarezzavano e stringevano al petto le mogli e sollevavano tra le braccia i figli baciandoli tra le lacrime per l’ultima volta, contemporaneamente compirono il loro disegno, quasi che a colpirli fossero mani altrui, consolandosi che se non li avessero uccisi, avrebbero sofferto tremendi tormenti in mano dei Romani”, scriverà nelle sue memorie Flavio Giuseppe. Tramandando questo episodio mitico della storia d’Israele nei secoli. Episodio che secondo molti storici della nostra epoca, potrebbe non soltanto essere stato romanzato e ingigantito, ma addirittura “mai avvenuto”.
Quando negli anni Sessanta l’ex generale e archeologo Yigael Yadin iniziò i suoi scavi a Masada, la versione di Flavio Giuseppe venne confermata da alcuni ritrovamenti che testimoniavano la presenza umana in quei luoghi, e la battaglia: pergamene, ceramiche, resti di vesti e armi, come sandali, punte di freccia, fionde e monete. Ma nulla, se non pochi resti umani, testimonierebbe il leggendario suicidio di massa dei sicarii; né la durata dell’assedio, che secondo Flavio Giuseppe sarebbe durato oltre un anno.
Secondo alcuni storici infatti, i romani avrebbero potuto costruire il perimetro di difesa e una “rampa d’assedio” in poche settimane, schiacciando con il loro vantaggio numerico – 7.000 legionari – e la loro strategia gli occupanti, seppure ben difesi. “Non ci sono prove sul luogo di sangue versato in battaglia”, ha sostenuto ripetutamente negli anni Haim Goldfus, professore all’Università Ben Gurion del Negev. Mentre Nachman Ben-Yehuda, professore all’Università ebraica di Gerusalemme, ha asserito che il gruppo di archeologi condotti a Masada dal generale Yadin sarebbe rimasto “deluso” dai ritrovamenti all’epoca. Una delle questioni principali, infatti, è quella dei pochissimi resti umani trovati in una grotta – non citata da Flavio Giuseppe – che apparterrebbero a non più di venticinque uomini. Dove sarebbero stati seppelliti dunque, gli oltre novecento sicarii che si erano asserragliati a Masada?
La storia antica tramandataci dalle prime testimonianze scritte, come quelle di Flavio Giuseppe, è spesso interamente ed esclusivamente basata sulla narrazione degli eventi; priva del criterio scientifico nella selezione delle fonti, e di altre diverse possibilità di documentare l’accaduto. In mancanza di dati oggettivi ottenuti a posteriori, è perciò difficile confermare cosa è stato vissuto da un legionario o dalla moglie di uno dei “ribelli di Masada” che hanno realmente partecipato all’assedio concluseso proprio con la caduta della fortezza costruita da Erode il Grande. Fortezza che, leggende a parte, resta uno dei più importanti e suggestivi siti archeologici del Medio Oriente, patrimonio dell’Umanità dell’Unesco e luogo mitico; dove forse, ma non certamente, gli israeliti più temerari scelsero di non piegarsi ai romani in nome della libertà. Una scelta che molti, a torto o ragione, vedono anche nel presente di Israele in quello di Gaza.