La necessità di scrivere trame inclusive finisce per falsificare le reali vicende delle minoranze
di Matteo Sacchi da Il Giornale del 26 Aprile 2022
Quando le serie televisive o i film toccano la Storia può essere il caso, a volte, di riflettere sulle serie televisive anche armati dei libri di storia… Non perché i produttori quando producono oggetti di intrattenimento siano obbligati a conformarsi ai manuali o ai saggi, ma perché alla fine l’immaginario collettivo dipende molto più di quello che vediamo che da quello che leggiamo. Quindi se una serie come Romulus ci può dare un’idea molto più realistica del Lazio antico o una serie come The good Lord Bird può raccontare in maniera mirabile la storia della ribellione antischiavista di John Brown (con luci e ombre), altre serie possono fornire un immagine falsata del passato e non contribuire affatto a capire il nostro presente. Anche se partono con le migliori intenzioni.
Allora partiamo da due libri appena pubblicati e poi facciamo qualche riflessione transitando su alcne serie tv. La breve storia degli Afroamericani pubblicata da Jonathan Scott Holloway per i tipi del Mulino è così efficace e concisa che dovrebbe essere messa in mano a tutti gli studenti delle scuole superiori.
Traccia un quadro del problema della tratta degli schiavi nei futuri Stati Uniti a partire dal Cinquecento, illustrando come via via la condizione degli afro-americani sia andata peggiorando nel corso del Sette e dell’Ottocento nonostante gli Usa si fossero resi indipendenti e proclamati (non senza alcune validissime ragioni) la terra della libertà. Mostra il titanico sforzo necessario per la popolazione di colore, anche dopo la guerra di Secessione, di rivendicare anche i diritti più basilari. Diritti che negli Stati del Sud era quasi impossibile ottenere: fatto che portò milioni di persone di colore a spostarsi verso gli Stati del Nord. E portando a nuovi cruenti scontri razziali: gli strati più poveri della popolazione bianca avevano paura di perdere il lavoro difronte a questa «concorrenza» disposta ad accettare qualunque salario pur di sfuggire da luoghi dove essere linciati o impiccati a un albero era un pericolo più che reale. Se si confronta la realtà storica ad esempio con una serie come The Gilded Age, ambientata proprio in quegli anni in una New York dove questo problema di ingiustizia razziale era fortissimo, se ne riceve invece un’immagine molto edulcorata… Non è il cuore della serie ovviamente; il tema centrale sono amori e intrighi tra le ricche famiglie newyorkesi. Però il tema è stato fatto rientrare, un po’ con il bilancino del politicamente corretto, con il personaggio della misteriosa Peggy Scott, ragazza di colore che si inserisce nella vita della ricca Marian Brook, orfana di un generale nordista. In questo caso lo spunto può essere apprezzabile, ma poi per mantenere la serie a tono, la problematica afroamericana si trasforma in qualcosa di minimizzante e artificioso (il quartiere nero di Brooklyn viene borghesizzato, si discute di diritti come negli anni Sessanta e così via).
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Ma se si fa il confronto con il mondo follemente favolesco di Brigderton, ambientato in un’Inghilterra dove vigeva ancora la tratta degli schiavi, The gilded age è un capolavoro di aderenza storiografica. Si è iniziato con l’inserire una regina d’Inghilterra di colore con il labile aggancio che forse la regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz aveva un’ascendenza berbera. Si è arrivati, nella seconda stagione, ad avere, tra le ragazze più contese da sposare a corte, due signorine indiane… Se entrate in libreria e mettete mano a un ponderoso capolavoro storiografico appena pubblicato da Adelphi, Anarchia di William Dalrymple, vi renderete conto invece di cosa abbia comportato per l’India la colonizzazione da parte della Compagnia delle Indie e la condizione in cui erano tenuti gli indiani.
Ovviamente tutto questo accade anche in ottemperanza a quella che ormai in molte produzioni è una vera e propria direttiva: cioè che nel cast debbano essere per forza inseriti membri di minoranze etniche o appartenenti alla comunità LGBTQIA+. Lo scopo sulla carta è nobile. Ma quando è fatto senza buon senso, il risultato è di stravolgere la storia e paradossalmente può anche essere quello di mettere sotto il tappeto la condizione di torto che alcune popolazioni o minoranze hanno a lungo vissuto.