Ecco la prefazione di Giulio Di Donato al saggio di Raffaele Romano, storico e collaboratore del Nuovo Giornale Nazionale, “Il Pci visto dalla Cia e dal suo interno”.
di Giulio Di Donato da Nuovo Giornale Nazionale del 10 maggio 2025
Pensavamo di sapere più o meno tutto, della caduta del fascismo, dell’arresto di Mussolini, dei rapporti tra Monarchia e alleati che portarono a Cassibile, all’8 settembre, a Badoglio, a Salò, alla fuga del re, all’arresto ed alla esecuzione di Mussolini, all’oro di Dongo, più volte scomparso e ricomparso nelle diverse ricostruzioni di quei fatti, alla Resistenza, a Togliatti, alla nascita del Pci, al suo ruolo nella sinistra italiana e poi via via nelle vicende italiane della prima repubblica ed alla sua caduta con l’inchiesta del pool mani pulite. Ma leggendo il bel libro di Raffaele Romano che, appunto, ripercorre quegli anni sulla base di documenti, interviste, rapporti e relazioni riservate, in molti casi solo di recente desecretati, dell’intelligence e delle diplomazie alleate, americane e inglesi, anche sovietiche, oltre che da fonti interne soprattutto al pci, ci si rende conto che c’era molto altro da sapere e molte circostanze, fatti, accadimenti da approfondire e reinterpretare. Un libro prezioso, dunque perché, con una narrazione in stile giornalismo d’inchiesta, ci aiuta ad inquadrare un periodo densissimo di episodi, delineando un affresco dell’Italia, dalla caduta del fascismo alla fine della prima repubblica, che svela particolari inediti, illumina episodi e circostanze poco chiare, ma soprattutto fa parlare protagonisti e testimoni.

Tra le tante circostanze che emergono, dalla cattura di Mussolini travestito da militare tedesco, riconosciuto in modo casuale, alle “traversie” del tesoro (oro di Dongo, ma non solo), ai violenti regolamenti di conti interni di una Resistenza contesa tra diverse fazioni con sequestri e assassinii, il libro si sofferma sul ruolo di Togliatti, a Mosca complice della macelleria messicana delle purghe staliniane in cui finirono migliaia di comunisti “non ortodossi” o ritenuti tali, cose più o meno note anche se poco raccontate, e poi dei comunisti nella Resistenza e poi nella nascita e costruzione del pci e del suo ruolo nei decisivi appuntamenti del Referendum e della Costituzione. Dal libro emerge che in tutti questi passaggi decisivi per la nascita dell’Italia democratica, ”il Migliore” agì su precise direttive di Stalin. Dal discorso di Salerno, alla partecipazione al Governo col CLN, alla amnistia da ministro della Giustizia, fino alla sostanziale neutralità tra Repubblica e Monarchia, all’apertura al mondo cattolico sul “si” al Concordato in Costituzione, al fronte popolare con i socialisti di Nenni. Togliatti fu abile esecutore della strategia staliniana di “inserimento progressivo”, che puntava a far diventare il comunismo, organizzato in forma partitica, parte integrante della nascente democrazia. Un forte partito comunista in grado di egemonizzare tutta la sinistra in Italia, come nei fatti avvenne, fino ai carri armati a Budapest e poi alla destalinizzazione di Krusciov, era funzionale non certo ad una rivoluzione comunista in Italia, impossibile perché in contrasto con l’equilibrio geo politico di Yalta (tra l’altro molto favorevole a Stalin cui gli Usa consentirono di annettersi mezza Europa nonostante la tenace opposizione di Churchill), quanto invece a mantenere una forte presa in un paese di frontiera, l’Italia appunto.

Obiettivo tattico importante nella nascente guerra fredda nella contrapposizione tra Urss e Alleanza atlantica, patto di Varsavia e Nato. Il Pci e Togliatti furono funzionali a questo disegno che rafforzò il ruolo imperialistico dell’Urss nel mondo di quegli anni. Da qui, dalla presenza del più forte partito comunista dell’Occidente legato a doppio filo a Mosca, inizia in qualche modo il calvario di una sinistra che, a parte nel ’47 il coraggioso salto di Saragat, resta prima intrappolata nel fronte popolare, poi condizionata dal pci, che intorno ad una “impossibile” alternativa rivoluzionaria raccoglie il 30% circa dei consensi, ed infine impossibilitata nei fatti ad una evoluzione socialdemocratica, sempre tenacemente contrastata dal Pci, e non solo con Togliatti, ma anche quando con Berlinguer nel 1977 cominciò a prendere forma il tentativo di distanziarsi da Mosca e successivamente dagli stessi eredi del leader comunista tragicamente scomparso nel 1984. Mentre Togliatti con la “via italiana al socialismo” aveva applicato con successo la gramsciana “egemonia”, i berlingueriani “terza via”, ed ” eurocomunismo”, furono semplici espedienti dilatori, tra l’altro censurati dalla stessa Urss, sempre accompagnati dal rigetto pregiudiziale dell’opzione socialdemocratica, attiva e vincente nel resto dell’Europa, a conferma di una irreversibilità del comunismo, incapace di trasformarsi senza implodere. Circostanza poi confermata dal tragico fallimento del compromesso storico, coraggioso tentativo di Moro (e dello stesso Berlinguer spinto dalla componente cattolica di Rodano) di sbloccare la democrazia italiana, tentativo che, infatti, fu “giustiziato” (col cadavere di Moro lasciato a Roma tra piazza del Gesù e Botteghe Oscure), dalla lotta armata dell’estremismo brigatista, le cui radici erano “nell’album di famiglia” del pci (Rossana Rossanda), addestrato e teleguidato da coaches del mondo comunista (cecoslovacchi e bulgari) e non ostacolati dalla Cia.
Documenti e testimonianze, riportate nel libro, certificano le molteplici ingerenze dei servizi di tutto il mondo che fecero dell’Italia un trafficatissimo crocevia spionistico. In esso convergevano non solo le tensioni della guerra fredda ma anche le successive implicazioni col nord-Africa ed il Medio Oriente. A partire dallo sbarco alleato, “propiziato” e in parte anche preparato, da contatti diretti e scoperti con la mafia italo-americana (fatti più o meno noti) e da una forte presenza di quella ebraica, (elemento meno noto), negli anni successivi, quelli del Piano Marshall e della ricostruzione, “scoppiata la pace” e a guerra fredda iniziata, l’Italia divenne il “centro” dello spionaggio est – ovest e quindi terreno di presenza e di manovra del Kgb della Cia ma anche del Mossad, dei servizi libici, palestinesi in genere nordafricani e mediorientali. Tutto ciò si evince da atti, contatti, relazioni, una intensissima attività di intelligence che, in qualche modo, si ritrova in tutte le vicende più importanti della storia italiana di quegli anni. Insomma un paese di frontiera, in cui proliferava lo spionaggio internazionale che coltivava assidue relazioni non solo con i servizi italiani, con reciproci scambi “riservati”, ma anche con i centri del potere politico, la Dc ed il Pci in primis, ed economico, non rinunciando ad interferenze ed anche probabilmente ad atti più gravi. La morte di Mattei rimasta ancora per molti versi misteriosa, il terrorismo degli anni’70, l’assassinio di Moro e molto altro. Certo a rileggere quegli anni, dal brigatismo rosso agli attentati neofascisti, alle innumerevoli vittime “civili”, ai morti degli “opposti” estremismi, a politici, magistrati, manager, imprenditori, servitori dello Stato, fino al cadavere dello statista democristiano, appare in tutta la sua gigantesca gravità l’attacco al cuore dell’Italia, delle sue istituzioni, del suo equilibrio democratico. Ed è ancora più grave il fatto che tutto ciò fosse “accompagnato”, in alcuni casi ispirato e fomentato, da centrali spionistiche interne ed internazionali. E tuttavia la nostra fragile democrazia, seppe reagire e riuscì a sconfiggere le offensive eversive, senza alcuna alterazione o irrigidimento. Un merito, e non di poco conto, delle forze politiche di governo della prima Repubblica.
E giungiamo alla fine della Repubblica dei partiti, quella “nata dalla Resistenza”. Ci furono sostegni e incoraggiamenti al pool mani pulite da parte dell’Amministrazione Usa? Nel libro questa circostanza viene confermata in modo chiaro. Ci fu una intensa attività del consolato Usa di Milano a supporto delle inchieste milanesi, mediatica e di merito, un interesse “al cambiamento”, della Casa Bianca, con Bush padre presidente, confermato da dichiarazioni ed interviste, importante quella postuma riportata nel libro, dell’Ambasciatore Usa in Italia in quegli anni. Tutto ciò assume particolare interesse perché certifica un radicale cambiamento, oggi si direbbe “di postura”, dell’Amministrazione Usa verso il nostro Paese. In sostanza il crollo della prima Repubblica, la caduta dei vertici politici, Craxi, Andreotti, il pentapartito, fu visto come una nuova opportunità, politica, commerciale, economica, insomma una “buona occasione” per “fare affari” ed estendere la propria egemonia su un Paese sconvolto dalla più grande inchiesta giudiziaria della storia moderna. Tangentopoli fu, anche, l’occasione per regolare conti in sospeso, da Sigonella, alla politica di attenzione verso la questione palestinese ed in genere il mondo arabo nello scacchiere medio orientale, ed in nord Africa, ed al ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Qualcosa si sapeva, qualche altra si supponeva, ma nel libro troverete elementi corposi che confermano questo dato. Eppure gli Stati Uniti avevano visto con grande interesse la decisione coraggiosa e decisiva di Craxi di non opporsi all’ installazione degli euromissili nucleari a Comiso, (che avevano accelerato il crollo dell’Urss), sfidando il pacifismo cattocomunista teleguidato e foraggiato da Mosca. E non avevano ostacolato, anzi, il governo a guida socialista. Anche se poi Sigonella, con la orgogliosa e identitaria rivendicazione della sovranità italiana, alleati leali degli Usa ma non sudditi, aveva segnato una forte incrinatura dei rapporti Italia-Usa mai del tutto risolta.
Ma a modificare la “postura” americana verso l’Italia, fu il crollo del muro e l’implosione del l’impero sovietico e del comunismo – una svolta storica che chiudeva Yalta ed apriva nuove prospettive, come sta avvenendo in modo brutale e estorsivo per altri versi e con altre motivazioni oggi con Trump – il fattore che indusse il cambiamento della politica Usa verso l’Italia della Prima Repubblica, in cui i vecchi equilibri garantiti dal pentapartito, sostanzialmente da Craxi e dalla maggioranza della Dc, determinanti a non far scivolare l’Italia verso Mosca o più realisticamente verso il modello Iugoslavo, non servivano più, anzi diventavano un ostacolo a quella “fine della Storia” che Fukuyama predisse sbagliando di grosso e che, come abbiamo visto e stiamo vedendo, non solo non è finita ma sta assumendo proprio in questi giorni una direzione insospettabile e, a dir poco, inquietante.


