Una tesi a lungo diffusa vuole che il regime comunista del «secondo stato tedesco», la Ddr, non fosse semplicemente un regime dominato da un potere straniero imposto dall’esterno; era invece un regime che incontrava non poco sostegno tra la popolazione stessa. La mia opinione è che il dominio dell’ideologia comunista venne percepito da ampi strati della popolazione apparentemente come un dominio straniero, opprimente, anzi, quasi insopportabile. Per illustrare tale realtà mi limiterò a riportare due soli casi tra le molte migliaia di esempi possibili – e tacerò gli eventi terribili dei primi periodi dell’occupazione.
di Ernst Nolte, per Il Giornale
Primo caso: un «docente borghese» che sapeva per certo che i figli dei suoi colleghi erano discriminati in molti modi ed esclusi dalla possibilità di studiare, venne invitato a tenere una conferenza a Colonia, e nell’ambito della promozione temporanea «dello scambio scientifico tra i due stati tedeschi» c’erano molte probabilità che gli fosse concesso il visto. Ma a sua moglie non fu assolutamente permesso di seguirlo e lui quindi si trovò di fronte a una crisi di coscienza. Sua moglie, però, lo implorò: «Vai e resta lì, per amor del cielo, resta lì! Io cercherò di raggiungerti in qualche modo». Secondo caso: un vecchio contadino tedesco che era stato espulso dalla Prussia orientale si presentò a una «comune di produzione agricola» chiedendo un po’ di mangime per il suo cavallo, che aveva portato con sé. Il mangime per il cavallo gli fu negato e il mattino dopo i suoi figli, membri di quella comune, lo trovarono impiccato nella stalla. E allora, alle prime luci dell’alba, essi inforcarono le loro biciclette e, senza portare con sé bagaglio alcuno, pedalarono senza tregua verso Berlino.
Nei circa 15 anni precedenti la costruzione del muro di Berlino nell’agosto del 1961, quasi tre dei 18 milioni di abitanti della Ddr fuggirono dallo stato comunista e ripararono nella Repubblica federale di Germania. Ciò avvenne, certamente, per svariati motivi, ma indubbiamente anche perché nella Germania occidentale gli standard di vita erano più elevati. Ma a quegli intellettuali occidentali – già allora non tanto pochi – che volevano evitare un’equiparazione tra la «seconda dittatura tedesca», come il regime della Ddr veniva spesso definito già allora, e la «prima dittatura tedesca», quella nazionalsocialista, principalmente con la motivazione che nella Ddr non c’erano state fucilazioni di massa né tanto meno un genocidio con milioni di morti e che, vista nella prospettiva giusta, la realtà della Ddr doveva essere considerata come l’«espiazione per Auschwitz», veniva replicato dai critici che i nazionalsocialisti avrebbero dovuto cacciare dalla Germania dieci milioni di persone ancora in tempo di pace, cioè prima del settembre 1939, per poter eguagliare, in proporzione, la Ddr .
Pertanto, il 13 agosto 1961 fu dato l’ordine di costruire il muro, e le fotografie di persone, più precisamente di poliziotti in uniforme, che all’ultimo istante fuggono verso Berlino superando il muro ancora in fase di costruzione fecero il giro del mondo. Gli alleati non osarono difendere i loro diritti con la forza, perché ciò che li interessava maggiormente era affermare la loro presenza, messa in dubbio da Krusciov, e le proteste del governo federale di Bonn rimasero senza effetto. Fu allora che cominciarono i decenni dell’«accerchiamento» di Berlino ovest.
Se il crollo del comunismo non era stato affatto l’obiettivo delle riforme di Gorbaciov, allo stesso modo il crollo del muro di Berlino non era nelle intenzioni del nuovo governo dei «comunisti riformatori» al potere nella Ddr, dal quale Honecker era stato escluso subito dopo aver avviato i festeggiamenti per il 40° anniversario della fondazione della Ddr e aver sentito Gorbaciov dire, in un episodio rimasto famoso, che «Chi tardi arriva male alloggia» ovvero «Chi arriva troppo tardi, la vita lo punisce».
Quella «emorragia» dalla Ddr che era stata all’origine della costruzione del muro di Berlino riprese nuovamente a scorrere, e stavolta in maniera non trascurabile, perché in molti cercarono di fuggire passando attraverso l’Ungheria – una via di fuga che si era di fatto rivelata molto promettente. Ma ancora più importante era il fatto che quei fuoriusciti, durante il loro viaggio cercavano l’aiuto e il sostegno delle ambasciate della Repubblica federale a Praga e Varsavia. Quando il ministro degli esteri Hans Dietrich Genscher annunciò da Praga che il governo della Ddr sarebbe stato pronto ad autorizzare tutte quelle persone in fuga a recarsi nella Repubblica federale passando attraverso il territorio della Ddr, si diffuse un’ondata indescrivibile di giubilo, che indusse qualcuno ad affermare che il muro di Berlino aveva ormai i giorni contati.
Dato che per la popolazione la richiesta di poter viaggiare liberamente era la più importante di tutte, alla vigilia del 9 novembre, durante una conferenza stampa pubblica, fu chiesto al presidente di quella conferenza stampa e membro del Politburo Günter Schabowski quale decisione il partito e il governo avevano preso riguardo alla libertà di viaggiare; dalla sua risposta sembrò di capire che la decisione fosse favorevole.
Tuttavia non era ancora possibile escludere che il muro non sarebbe diventato ancora una volta un confine tra due stati, sia pure non più nemici. Ampi strati della popolazione della Ddr volevano conservare il «socialismo» – come il Gorbaciov dei primi tempi, peraltro -, anche se un socialismo migliore, «umano».
Ma il cancelliere federale Helmut Kohl, che ancora nel 1987 aveva ricevuto Erich Honecker a Bonn con tutti gli onori come ospite di stato (ma non come capo di uno stato pienamente sovrano), agì con insolita fermezza, sorprendendo anche gli Alleati, quando dichiarò che la «riunificazione della Germania» era un obiettivo immediato, dando così nuovo slancio all’auspicio di fondo, che sembrava ormai sopito, degli abitanti della Ddr e incontrando scarso seguito tra gli intellettuali di spicco: Jürgen Habermas disse che il motivo scatenante, la motivazione decisiva di quella decisione non era la voglia di libertà bensì semplicemente un «nazionalismo del marco», mentre Günter Grass manifestò persino il timore che lo stato nazionale riunificato dei tedeschi potesse produrre una sorta di «nuova Auschwitz».
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Inserito su www.storiainrete.com il 9 novembre 2009